Voci da dentro: donne oltre le sbarre
La riflessione del sindaco di Cinquefrondi e consigliere della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Michele Conia, nella Giornata Internazionale della donna
Michele Conia, avvocato, sindaco di Cinquefrondi (RC) e consigliere metropolitano della città metropolitana di Reggio Calabria, delegato ai Beni Confiscati, Periferie, Politiche giovanili e Immigrazione e Politiche di pace, nella “Giornata internazionale della donna” dedica il suo pensiero alle condizioni delle detenute nelle carceri in quanto – ricorda il primo cittadino – i penitenziari sono affollati oltre che dall’universo maschile anche dalle donne e dalla componente LGBTQI+ spesso dimenticate.
Per lungo tempo, complice un numero di crimini commessi dalle donne sensibilmente inferiore a quello dei reati compiuti dagli uomini, gli studi sulla detenzione femminile è stata tralasciata.
Gli ultimi dati del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) permettono di scattare un’istantanea sulla popolazione femminile ristretta. Al 28 febbraio 2025 su una popolazione carceraria di 62.165, le donne erano 2.729 cioè il 4,4% delle presenze, percentuale su cui si assesta da molti anni ormai, con 11 madri e 12 bambini. I dati, infatti, hanno costantemente evidenziato che le donne delinquono meno degli uomini.
Dunque la fotografia della detenzione femminile in Italia è tendenzialmente statica e si caratterizza, da lungo tempo, per i piccoli numeri e la scarsa pericolosità sociale. Sono donne tra i 20 ad oltre 70 anni che scontano la pena in prevalenza per reati contro il patrimonio (1.496 a fine 2024), contro la persona (958) o per violazione delle leggi sulla droga (727). Alcune sono state arrestate per aver fatto parte di associazioni a delinquere e in tal caso sono destinate al circuito di alta sicurezza, con maggiori vincoli e maggiore solitudine in quanto sono mandate in carceri lontane dal proprio territorio. In 14 sono dentro per reati contro la personalità dello Stato o neo-brigatiste.
Con l’ultima emergenza bradisismo nei Campi Flegrei le 98 donne di Pozzuoli sono state trasferite a Secondigliano.
Ci sono casi in cui una donna può essere addirittura da sola, come a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), o in cinque a Paliano (Frosinone), sette a Mantova, 12 a Sulmona (L’Aquila) o 15 a Sassari. In Italia si contano 4 carceri esclusivamente femminili (Pozzuoli, Roma Rebibbia, Trani e Venezia Giudecca) e oltre 40 sezioni femminili ospitate in istituti misti.
Dei 17 Istituti Penali per Minorenni presenti sul territorio italiano (di cui uno, quello di Treviso, momentaneamente non in funzione), uno solo, a Pontremoli, è interamente femminile e al 15 gennaio ospitava 7 ragazze. Altri due, a Roma e a Nisida, sono provvisti di sezione femminile, sebbene nel secondo essa non sia attualmente funzionante come tale e le altre 3 ragazze si trovino tutte a Roma. Non è detto che gli edifici più moderni presentino condizioni migliori e dispongano di più spazi e questi sono ubicati generalmente fuori dal contesto urbano e sono meno raggiungibili dai parenti. L’affollamento delle sezioni femminili, rilevato durante le visite ispettive, è risultato essere sostanzialmente analogo a quello dei reparti maschili. Secondo il Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario del 2000, i servizi igienici sono “forniti di acqua corrente, calda e fredda, sono dotati di lavabo, di doccia” e aggiunge, con riguardo alle donne “in particolare negli istituti o sezioni femminili, anche di bidet”. Ma non dappertutto è così: mancano le docce in molte celle ed è presente solo il wc, oppure le docce sono in comune al piano.
Spazi carenti, poca igiene e sovraffollamento sono problemi comuni per chi vive in carcere. Ma per le donne una vita dietro le sbarre significa anche altro: ginecologi o pediatri spesso irreperibili, difficoltà a procurarsi assorbenti e saponi per l’igiene intima, senza contare poi il problema dei bambini detenuti. In carcere gli assorbenti, così come altri prodotti consentiti, possono essere acquistati attraverso il cosiddetto “sopravvitto”, una sorta di negozio interno all’istituto penitenziario al quale possono accedere solo coloro che hanno soldi sul conto corrente interno, chi non ha possibilità economica e di conseguenza non può acquistare, deve accontentarsi degli assorbenti forniti dall’amministrazione penitenziaria che, se non trascura questo aspetto, non garantisce però la scelta di un modello o le quantità necessarie di assorbenti in base alle singole esigenze.
Ancora troppo poca l’attenzione alla prevenzione e allo screening dei tumori femminili equivalente a quello delle donne in libertà. Percorsi di istruzione, laboratori di poesia, taglio e cucito, green therapy, pasticceria, teatro, yoga e ricamo, solo per fare alcuni esempi, sono fondamentali per la riabilitazione e risocializzazione e anche l’esecuzione penale esterna va nell’ottica del contrasto alla recidiva.
Quando una donna finisce in carcere su di lei si abbatte lo stigma e il rischio di essere etichettate come «cittadine di serie B» ; fuori ci sono sempre i figli, una madre, un padre , un marito e così la detenuta, oltre al peso della carcerazione, si sente colpevole per averli lasciati soli e somatizza il suo malessere. Guardando al nodo cruciale della maternità e alle madri autrici di reati, aleggia ancora la convinzione che una donna che commette un crimine sia per definizione una cattiva madre e lo spettro della madre inadeguata risalta come una delle maggiori fonti di sofferenza.
Fa discutere la chiusura dell’Istituto a Custodia Attenuata per detenute madri (Icam) di Lauro in Campania (unica struttura nel Mezzogiorno a garantire alle detenute madri di poter convivere in una realtà penitenziaria con i bambini senza ambienti direttamente riconducibili ad un carcere per detenute madri), e le due bambine di 7 e 8 anni, saranno trasferite, a metà anno scolastico, in una sezione speciale di carceri ordinarie di Milano e Venezia contravvenendo al superiore interesse del minore così come sancito dall’ art. 3 della Convenzione sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Il DDL Sicurezza (approvato il 18 settembre alla Camera dei deputati e attualmente in discussione al Senato), che introduce una serie numerosa di nuove fattispecie di reato, o di circostanze aggravanti, all’art. 15 apre le porte del carcere anche a chi prima ne era esclusa: infatti non sarà più automatica l’esclusione della detenzione per donne incinte e madri e in questi casi i neonati resteranno in carcere con le loro mamme.
L’isolamento è causa, talvolta, dei suicidi (3 le detenute che si sono tolte la vita nel 2023, due l’anno scorso). Per evitare marginalizzazione l’ordinamento penitenziario in vigore dal 2018 prevede esplicitamente che il numero di donne ristrette in carceri maschili debbano essere “in un numero tale da non compromettere le attività trattamentali”. Le donne che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria sono come sempre impegnate soprattutto nei servizi interni necessari alla gestione dell’istituto, servizi che richiedono una bassa qualificazione e garantiscono un impegno ed una retribuzione limitati. Non mancano però significative eccezioni anche in questo ambito, come la grande azienda agricola di Rebibbia o il laboratorio sartoriale per le camicie per la Polizia Penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere o la torrefazione delle Lazzarelle a Pozzuoli.
Papa Francesco durante il suo pontificato più volte ha visitato le carceri come luogo simbolico e crocevia tra dolore e rinascita. Memorabili due tra le tante visite: quella del 28 marzo scorso alla Casa Circondariale Femminile di Rebibbia in Roma, per celebrare la Santa Messa in Cœna Domini del Giovedì santo e incontrare le detenute e compiere il rito della Lavanda dei piedi a sei uomini e sei donne, e quella dell’aprile successivo, al carcere femminile della Giudecca a Venezia.
Nell’attesa che le “Regole per il trattamento delle donne detenute” elaborate nel 2010 nella conferenza internazionale di Bangkok, relative alla detenzione femminile e approvate dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite, trovino sempre più maggiore applicazione, ripartiamo da questo 8 marzo, per restituire soggettività e diritti alle donne e alla componente LGBTQI+ ristrette in carcere, per accendere una luce che serve soprattutto a renderle visibili, a permettere loro di esistere e prendere parola.