Villini Svizzeri: l’ultimo testimone

Silente testimone di quello che fu un moto solidale di portata mondiale nei confronti della nostra città, l'ultimo dei Villini Svizzeri da cui origina l'omonima via è il simbolo di una storia centenaria - FOTO

C’è un pezzo di Svizzera a Reggio Calabria. Ma anche un pezzo di Norvegia, di Friuli, di Veneto e persino di Stati Uniti. In verità, esiste anche un pezzo di Gran Bretagna, nelle famose chiese “baracca”, di cui oggi pochissime sono sopravvissute. Come mai?

Per capirne le origini bisogna fare un salto indietro nel tempo, e, precisamente al terribile terremoto del 1908 a seguito del quale la nostra città ricevette solidarietà e aiuti da ogni parte del mondo e, persino, vere e proprie case!

Ma andiamo per ordine.

Il terremoto del 1908 e la solidarietà da tutto il mondo

All’indomani del terremoto del 1908, da tutta Italia e dall’estero, ci ha raccontato lo storico Franco Arillotta autore del libro “Reggio e le sue strade. Briciole di storia nella toponomastica cittadina” (Laruffa), “fu un fiorire spontaneo di iniziative per la raccolta di fondi e per l’allestimento dei soccorsi. Si costituirono ovunque comitati che coordinavano le iniziative pubbliche e private soprattutto per far fronte ad una delle principali necessità che angustiavano i superstiti del terremoto: le case”.

La priorità infatti era evitare di passare le notti all’addiaccio e di trovare baracche, prefabbricati e ripari di qualunque tipo. Tutti i comitati risposero all’appello e così “quello romano costruì le baracche sulla via De Nava, che per qualche tempo si chiamò perciò ‘Romana’. Quello americano, costituito fra i Calabresi emigrati in America alzò i baraccamenti dall’Annunziata a Piazza del Popolo e infatti ancora oggi troviamo nella toponomastica cittadina il ricordo di tale generosità” ha proseguito Arillotta riferendosi alle vie “americane” della zona. Vi fu anche un comitato Veneto-Trentino che realizzò ben due rioni e oggi lo ricordiamo con le varie vie Treviso, Verona, Vicenza, Udine.

La Croce Rossa Norvegese mise a disposizione “un certo numero di prefabbricati da assegnare a famiglie appartenenti ad un ceto medio-alto” e furono installati nell’area sulle falde della collina del Trabocchetto. Erano alloggi monofamiliari, in legno ma con la parete esterna rivestita in lamiera.

Gli chalet svizzeri

I cugini elvetici decisero pure di mandare prefabbricati e inviarono a Reggio le tipiche casette con i cuoricini alle finestre. “Erano molto belle – ha ricordato lo storico – e si decise di metterle sulla collina, in area limitrofa a quella dove si stavano sistemando gli chalet norvegesi, spianando la strada che ancora oggi porta il loro nome”.

Furono circa 16 quelle consegnate con una convenzione al comune, con una “clausola che stabiliva che l’amministrazione si facesse pagare un affitto, perché non si trattava di baraccamenti ma di costruzioni molto raffinate”. Le stesse furono, quindi, assegnate “alle alte cariche burocratiche dell’epoca” e alle loro famiglie, “a chi cioè aveva uno stipendio per potersi mantenere la cauzione”.

Si trattava, in buona sostanza, di strutture bifamiliari e a due piani, “con più camere e una graziosa scaletta esterna. Avevano le ante delle finestre col classico cuoricino e la ricca mantovana-grondaia del tetto, a mensole intagliate. Naturalmente erano in legno, con doppia parete, dotati di luce e acqua e avevano attorno un giardinetto” ha rammentato ancora Arillotta.

Ogni abitazione poi aveva un nome caratteristico: Guglielmo Tell, Reno, S. Gottardo, Sempione, e così via.

Cosa rimane oggi dei Villini?

Purtroppo, negli anni, la maggior parte di queste strutture fu “ingoiata” dalla speculazione edilizia. A nulla valsero le ricerche condotte alla fine degli anni ’80 da alcuni studiosi dell’Università di Reggio Calabria che raccomandavano la salvaguardia di quello che era un vero e proprio “villaggio alpino” edificato, però, su una collina affacciata sul mare dello Stretto, invitando addirittura alla creazione di un museo open-air. Nè tantomeno ha sortito effetto l’interesse della televisione svizzera che ai Villini ha dedicato un bellissimo servizio.

Passeggiando lungo le vie Villini Svizzeri e Norvegesi, l’una a fianco all’altra, tagliate in due dalle scalette in pietra (oggi circondate da sterpaglie e degrado), è tutto, infatti, un susseguirsi di palazzi e condomini a più piani.

Uno degli ultimi chalet svizzeri, mantenuto aderente all’originale, è stato oggetto di un brutto incendio qualche anno fa che si è portato via un altro pezzo di cultura della città. Gli altri due o tre sopravvissuti non hanno nulla dei caratteri originali del tempo.

L’ultimo villino svizzero

Ma è rimasto un ultimo testimone silente che, nonostante il peso degli anni e della lunga storia che si porta addosso, mostra pressochè intatti i segni dell’epoca.

Nascosto in uno stretto corridoio tra le costruzioni massicce e celato da una vegetazione incolta, non si fa ammirare subito agli occhi dei passanti.

Una volta davanti, però, si rivela in tutta la sua bellezza che conserva intatte le caratteristiche del tempo: i cuoricini bianchi e neri sulle ante delle finestre, la mansarda, il legno pieno con le travi a vista e il giardinetto tutto intorno.

Se si chiudono gli occhi sembra ancora di sentire le voci di coloro che a suo tempo vi abitavano e magari dei bambini che si rincorrevano giocando nel cortile.

L’appello

A questo punto, l’appello è d’obbligo: perché non salvaguardare la costruzione e adibirla a museo?

Non è noto se lo chalet sia di proprietà privata, probabilmente sì, ma l’interesse storico-culturale della struttura potrebbe spingere le istituzioni ad attivarsi, a far quanto meno conservare i caratteri originari della costruzione.

Altrimenti, anche quest’ultimo testimone sarà inghiottito dalle esigenze edilizie, demolito e trasformato in una villetta dai canoni moderni o peggio nell’ennesimo anonimo palazzo a più piani.

Nel frattempo, il ricordo del vecchio villaggio alpino e di quello che rappresentò per Reggio Calabria rimane solo nella toponomastica cittadina e nel cartello inciso sulla pietra all’inizio della “Via Villini Svizzeri“.

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