Umberto Boccioni: il romanzo di una vita

Breve, intensa e vissuta a tutta velocità. La vita passionale del padre della pittura futurista, nato a Reggio Calabria il 19 ottobre 1882 e morto a soli 34 anni per una caduta da cavallo

Erano le prime ore di un pomeriggio infuocato sulle rive dello Stretto quando Umberto Boccioni venne al mondo il 19 ottobre 1882, al numero 41 della casa di Via Cavour nel centro storico di Reggio Calabria.

Targa Umberto Boccioni via Cavour Reggio Calabria

Figlio di genitori romagnoli, la sua nascita reggina fu una coincidenza fortuita dettata dal lavoro del padre, impiegato di prefettura e costretto a continui spostamenti.

Una coincidenza che, però, lasciò un segno indelebile nell’animo dell’artista che conservò quella passione meridionale, segnata dal sentimento e dall’amore per l’arte, per tutta la vita.

Proprio a causa del trasferimento del padre, Umberto si trovò presto costretto ad iniziare un’esistenza da vagabondo, spostandosi da Reggio alla volta di Forlì, Genova, Padova e Catania dove, ancora incerto sul suo futuro, frequentò l’istituto tecnico ed iniziò la collaborazione con la “Gazzetta della Sera”, scrivendo anche il suo primo manoscritto “Pene dell’anima”.

Quelli giovanili sono anni importanti per la formazione dell’artista, in cui si comincia a leggere quell’ansia creativa ed esistenziale mai sopita di un’impossibile armonia tra la vita e l’arte, combattendo tra i valori del passato e i bisogni del nuovo. Scriverà, infatti, nei Taccuini Futuristi: “Tutta l’arte moderna mi pare vecchia. Voglio del nuovo, dell’espressivo, del formidabile! Tutto il passato mi opprime. L’arte deve farsi interprete del risorgere poderoso, fatale di un nuovo idealismo positivo”.

Ed è in nome di quell’idealismo che lascia Catania nel 1901, iniziando il ben noto periodo romano e l’amicizia con Severini, insieme al quale diventa discepolo di Giacomo Balla, il suo primo maestro. Ciò non spegne però la tensione drammatica della sua anima, altalenante tra la febbrile voglia creativa e la ‘mancanza di pace e denari’ che lo attanaglia, peggiorata dalla scarsa considerazione delle sue opere che vengono respinte in più occasioni, tanto da fargli organizzare insieme ad altri pittori la “Mostra dei rifiutati”.

Iniziano i primi soggiorni a Parigi, in Russia, in Germania e poi a Padova e Venezia, fino alla meta milanese, città che rappresenta una tappa fondamentale per la sua vita e per tutta la storia dell’avanguardia.

A Milano l’artista giunge nell’autunno del 1907, trovando un ambiente interessante e stimolante, caratterizzato dalle fabbriche, dalla frenesia di una metropoli in fermento, dalla fiducia nella scienza, nel progresso e nell’avvenire, ma sarà l’incontro con Marinetti a significare la svolta.

Boccioni riprenderà i temi espressi dalla ‘caffeina d’Europa’ nel proclama di fondazione futurista pubblicato sul ‘Figaro’ il 20 febbraio 1909 e li applicherà al Manifesto dei Pittori Futuristi da lui firmato insieme a Carlo Carrà, Gino Severini, Luigi Russolo e pubblicato in versione italiana e francese l’11 febbraio 1910.

Una data non certo casuale (l’11 è considerato dai futuristi un buon auspicio) per una rivoluzione destinata a cambiare il mondo dell’arte, a mettere lo spettatore al centro del quadro, esaltando i colori, il movimento, a “magnificare la vita odierna, incessantemente e tumultuosamente trasformata dalla scienza vittoriosa”.

Gli anni milanesi si susseguiranno freneticamente, con mostre, amori burrascosi, viaggi, soprattutto in Francia dove Boccioni incontrerà i cubisti e, per il tramite di Apollinaire, Picasso, e “vivaci” serate futuriste, animate dalle risse e sedate dai carabinieri.

Come la spedizione punitiva al caffè delle Giubbe Rosse di Firenze contro i “Vociani”, scaturita dalle pesanti critiche all’Esposizione d’Arte Libera a Milano e dallo sfregio del dipinto “La risata” ad opera di un ignoto contestatore.

Elasticità

È a Milano che Boccioni scriverà le pagine principali della sua poetica pittorica e scultorea creando un linguaggio nuovo e personale, con i due trittici degli Stati d’animo, Materia, l’Antigrazioso, ed Elasticità dove, come in un presagio, esalterà i cavalli che ama perché incarnano la forza e l’agilità.

Saranno quelli anche gli anni dell’impegno politico che lo vede passare dal socialismo ‘marxista’ al nazionalismo e all’acceso interventismo, fino all’arruolamento volontario dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Rientrato a casa viene richiamato, suo malgrado, al fronte, a Verona, dove viveva la sorella con il marito Guido Callegari e diversi amici. Una fortuna per Boccioni che, turbato dal non poter dipingere, dalla monotona vita di trincea, dagli orrori e dal tragico impatto con la morte, comincerà forse a dubitare della sua esaltazione per la guerra come igiene del mondo, scrivendo, infatti: “l’arte è sempre al di sopra e la guerra non la tocca”.

Proprio la morte lo strapperà dalla gioventù, dai sogni e dalle illusioni. Mentre aspetta che l’amico Giorgio Ferrante arrivi a Chievo, accetterà di fare un giro a cavallo con gli altri ufficiali spingendosi fino a Sorte. È ancora un fantino inesperto ma tiene le redini della tranquilla Vermiglia finché la strada incrocia la ferrovia. Un autocarro sbuca dopo il passaggio a livello, la puledra si spaventa e lo disarciona, trascinandolo con sé per l’amena campagna veronese.

© Cosimo Allera Boccioni “Forme uniche della continuità nello spazio”

Umberto viene soccorso da alcuni contadini e portato in ospedale.

È ferito al capo e al petto, ma il fazzoletto tricolore nella tasca interna della giubba, “vicino al cuore”, non si è macchiato di sangue.

A nulla vale l’opera pronta dei medici. Il genio si spegne all’alba del 17 agosto del 1916. A soli 34 anni. Vissuti febbrilmente, ad alta velocità, da perfetto futurista.

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