Streghe, storie di violenze e riscatto al Metropolitano
Uno spettacolo profondo nella Giornata Internazionale della Donna che, partendo dalla caccia alle streghe e da 6 testimonianze, ha invitato a riflettere sull’importanza della lotta per i diritti delle donne
Uno spettacolo che si è trasformato in un’occasione per riflettere. Questo ha rappresentato la messa in scena di ieri “Streghe! Quando uccidere le donne era legale” al Cineteatro Metropolitano da parte dell’associazione culturale L’Amaca in collaborazione con il DLF di Reggio Calabria. Tanti gli spunti per pensare offerti dai protagonisti dell’evento che, partendo dalla caccia alle streghe e da sei testimonianze, in particolare, hanno regalato al numeroso pubblico un pomeriggio di approfondimento in una giornata che scivola sempre di più verso la superficialità, se non nel ridicolo.
Caccia alle streghe, le vittime innocenti
In una sfida a colpi di battute pungenti, Nino Cervettini, nella parte dell’Inquisitore e Rosanna Palumbo, dalla parte delle condannate, hanno fatto da sfondo alle testimonianze di 6 racconti in particolare, snocciolando anche dati, motivazioni, pregiudizi alla base di una “storia di lacrime che non devono essere dimenticate, di orrori che vanno raccontati”.
La caccia alle streghe, in nome di beceri e stupidi pregiudizi, ha causato qualcosa come tra i 300mila e i 700mila omicidi, di donne innocenti.
Una narrazione quella della stregoneria femminile che ha origini arcaiche, nella notte dei tempi e che ha toccato il culmine più tragico con la nascita della Santa Inquisizione, istituita nel 1184, trascinandosi, nella sostanza, fino al secolo passato.
Le sei vicende italiane
Sei le emblematiche testimonianze scelte dalla compagnia (peraltro formata dall’80% da donne). Tutti casi avvenuti in Italia di donne processate sommariamente e costrette a confessare mali inesistenti che hanno preferito andare fiere incontro alla morte, pur di non subire le più atroci torture.
Matteuccia da Todi (interpretata da Luciana Ruggeri), una guaritrice che pagò caro il prezzo della propria sapienza, condannata al rogo e bruciata viva nel 1428.
Caterina Medici (Rita Nocera) nata a Broni di Pavia nel 1573, fantesca al servizio di un nobiluomo, che fu martoriata con tenaglie roventi, le furono strappati via i seni e le dita di mani e piedi, per poi essere strangolata il 4 marzo 1617. La sua storia è stata raccontata da Leonardo Sciascia, nel romanzo “La strega e il capitano”.
Giovanna Manduro di Salussola (Loredana Delfino), denunciata all’Inquisizione da “invidiosi e malelingue”, fu bruciata viva il 17 agosto del 1470. Una donna come tante, che resistette alla tortura e riuscì a non accusare nessun altro.
Benvegnuda detta la Pincinella (Emilia Jovane), della provincia di Brescia, la cui unica colpa era quella di essere “medichessa” e “levatrice”. Sottoposta alla tortura della corda, confessò pur di essere mandata a morte e non subire più altre violenze. Fu arsa viva il 15 luglio 1518, mentre nel Nord Europa era in corso la Riforma Protestante capeggiata da Lutero, momento in cui la caccia alle streghe diventerà estrema per i duecento anni a venire.
Antonia Renata Spagnolina (Irene Costantino), un’”esposta” adottata da una coppia bonaria e bellissima fin da bambina, fu soggetta a talmente tanta invidia e calunnie che finì denunciata all’Inquisizione. Subì supplizi e umiliazioni e fu bruciata viva mentre la folla le tirava sassi. Solo il boia le mostrò carità cristiana, dandole una droga prima di appiccare il fuoco.
Si narra che dopo la sua morte, nei giorni a seguire, il paese fu oggetto di tempeste e straripamenti, come una sorta di “nemesi” per il male fatto, fino a svanire completamente. La sua storia, ritrovata tra le pagine ammuffite di un registro, è stata raccontata da Sebastiano Vassalli, in un romanzo che è uno dei capolavori della letteratura italiana “La chimera”.
L’ultima testimonianza, infine, è quella della strega calabrese Cecilia Faragó (Enza Marra), nata nel 1712 a Zagarise vicino a Catanzaro. Moglie di un ricco possidente terriero, alla morte del marito venne privata di tutti gli averi che furono donati alla Chiesa. Si mise contro gli ecclesiastici e finì denunciata all’Inquisizione. Ma riuscì ad ottenere un processo, difesa da un giovanissimo avvocato, Giuseppe Raffaelli, che dimostrò una volta per tutte l’infondatezza delle accuse, entrando nell’Olimpo dei giuristi. Quanto alla Faragò, fu una delle pochissime a salvarsi, non andò sul rogo, ma i beni non le vennero mai restituiti e visse in miseria, sola e derelitta.
L’alba del riscatto e i nuovi roghi
Con la storia di Cecilia Faragò si entra nel presente. La legge sulla stregoneria fu abolita da re Ferdinando segnando l’inizio di una nuova era. Ma anche se i roghi erano ormai finiti, le discriminazioni continuarono “e continuano ancora oggi. Perché noi donne subiamo questo destino? Forse perché la nostra profondità diventa lo specchio delle peggiori miserie. Per questo – ha chiosato la Palumbo con voce rotta dall’emozione – ci hanno bruciato per secoli. Ma tutto ciò che vogliamo è soltanto il potere di decidere per noi e per la nostra vita”.
Tutto lo spettacolo è stato accompagnato dalle bellissime musiche di Thekla De Marco (da Because the Night di Patti Smith a Gli uomini non cambiano di Mia Martini), mentre la cura delle letture recitate è stata opera di Anna Rita Fadda.
Ultima parola al presidente de L’Amaca, Antonio Calabrò, direttore artistico del Metropolitano, autore dei testi messi in scena e interprete del “boia” nello spettacolo.
“Non pensate che tutto sia finito – ha esordito – semplicemente, la stupidità maschile assunse altre forme e altri modi, col sostegno del fanatismo religioso e di alcune assurde teorie scientifiche, che di scientifico non avevano nulla, appoggiate anche da personaggi illustri preda di questi assurdi pregiudizi, la discriminazione continuò e continua tutt’oggi, anche se nell’ultimo secolo sono stati fatti passi da gigante”.
Ripercorrendo le tappe dei diritti alle donne, le riforme e i cambiamenti epocali, Calabrò ci ha tenuto a sottolineare che “ancora non basta. Oggi più dell’80% dei ruoli dirigenziali è occupato da maschi, i roghi sono tornati a divampare sotto forma di femminicidi. Ogni volta che una donna viene abusata, sottomessa, uccisa le tenebre della storia tornano in vita”. L’invito, quindi, a “non fermarsi, a pretendere di più, a non trasformare una data così importante come l’8 marzo in un avvenimento pacchiano e ridanciano, perché non basta portare un tacco 12 o sbronzarsi come un camionista americano per essere veramente libere”.
“Siate voi stesse, coltivate doti, ambizioni e talento che avete a dismisura e soprattutto – ha concluso Calabrò – puntate sulla virtù invisibile che, come sosteneva un signore di nome Dante Alighieri ‘move il sole e le altre stelle’: l’amore universale, quello che rende la vita degna di essere vissuta e che ci ha portato fin qui. Viva le donne. Viva l’8 marzo giornata dei diritti”.