Oreste Lionello: il “gran signore” dello spettacolo

Istrionico e graffiante sul palcoscenico, riservato e schivo nel privato, il mattatore del Bagaglino, re della risata e voce di Woody Allen è stato uno degli ultimi artisti completi

Woody Allen di “Ciao Pussycat”, “Manhattan” e “Zelig” per citarne qualcuno, Gene Wilder di “Fuga per due”, Peter Sellers del “Dottor Stranamore” o della “Pantera Rosa”, ma anche Charlie Chaplin, Jerry Lewis, Robin Williams dell’amata serie “Mork e Mindy”. E, ancora, Lupo de Lupis, Topolino e Paperino, Winnie Pooh e Gatto Silvestro. Sono solo alcuni dei personaggi doppiati dalla voce canzonatoria ed ironica di Oreste Lionello.

E chi non ricorda l’inconfondibile “faccia” di Giulio Andreotti e le imitazioni di Romano Prodi, Berlusconi e dei “nemici” Di Pietro e Mastella quando calcava il palcoscenico del “Bagaglino”, insieme alle sue donne vere con “carne e solarità, non riempite di plastica come quelle dei calendari, ma semplicità e presa popolare” o le comparsate, i cameo e le voci dei film di felliniana memoria?

Oreste Lionello ha accompagnato per oltre mezzo secolo, con la sua verve e la sua simpatia un’infinità di personaggi, dai politici, agli attori, ai vip, facendoli entrare nel cuore della gente, portando il sorriso nelle case degli italiani di diverse generazioni.

Far sorridere come missione

L’arte del far sorridere è stata la sua vera missione. Ha contraddistinto la sua lunga e poliedrica carriera ma anche la sua vita. Senza mai offendere, senza cadere nella banalità, con professionalità e sobrietà e, soprattutto, senza prendersi mai sul serio. Come quando rincorreva nei corridoi delle sale di doppiaggio romane i bambini, vestito con un berretto di lana colorato e la sciarpa a righe, facendo la voce di Gatto Silvestro, o, ancora, il giorno del suo ottantesimo compleanno, quando, festeggiato tra gli amici del Bagaglino, affermava scherzoso, sfidando la commozione, “agli ottant’anni non ci sono abituato”. Forse è stato questo il suo dono, il segreto di una carriera lunga e variegata, la capacità di restar bambino diventando, al contempo, grande: “il massimo è farsi sculacciare, sculacciando” diceva egli stesso.

Alla radio come a teatro, in tv come al cinema, attore, cabarettista dalla comicità surreale e dalla satira graffiante, doppiatore eccellente, ma anche autore e traduttore, Lionello è stato un unicum nel panorama dello spettacolo italiano.

Il “valletto” del Cilea a Reggio Calabria

Greco di nascita, nell’isola di Rodi allora colonia italiana, nel lontano 18 aprile del 1927, giunse a Reggio Calabria ancora in fasce, per via dell’attività del padre, militare di carriera, calabrese come la mamma, trasferito al distretto militare della caserma Mezzacapo.

Sarà a Reggio che Oreste muoverà i primi passi e che vedrà sbocciare la sua passione per il teatro, il cabaret e lo spettacolo.

Già a dieci anni sarà il “valletto” addetto alla chiusura del sipario del teatro Francesco Cilea e, coltivando i suoi sogni insieme agli amici d’infanzia, organizzando spettacoli con pochi mezzi e tanto entusiasmo, si diplomerà al liceo classico Campanella e si iscriverà alla facoltà di giurisprudenza. Finchè dopo la laurea e il praticantato da notaio, la sua  perseveranza sarà premiata: verrà chiamato alla Rai.

Il successo tra tv e doppiaggio

È il 1953 e tutto è possibile in quegli anni del boom, figuriamoci per uno come Oreste, con la sua tenacia calabrese, l’umorismo e il bagaglio di conoscenze ed educazione che si porta dietro. Ha inizio così la sua carriera di autore e brillante interprete nella compagnia comico-musicale di Radio Roma che lo vedrà passare subito dopo alla tv, con la serie per ragazzi “Il marziano Filippo”, e, successivamente, “Le avventure di Laura Storm” accanto a Lauretta Masiero, le “Inchieste del Commissario Maigret” con Gino Cervi e “I racconti di padre Brown” con Renato Rascel.

In un crescendo di attività, arriveranno uno dietro l’altro i varietà televisivi, il festival della canzone napoletana con Antonio Buonomo e Ombretta Colli e la carriera di doppiatore al cinema.

Da Charlie Chaplin a Groucho Marx, da Peter Sellers a Gene Wilder, passando per Jerry Lewis e i personaggi dei film di Fellini, sino alla traduzione in rima delle battute di Gérard Depardieu nei panni di Cyrano de Bergerac.

Ma è con Woody Allen che arriva la sua vera fortuna. I doppiatori di allora non avevano intuito le potenzialità di quel piccolo attore americano, con gli occhiali e pieno di tic e pause e così lo avevano “ceduto” volentieri, scherzava Lionello e lui ne diventò ben presto il superbo alter ego italiano.

Gli anni del Bagaglino

La vera vocazione di Oreste però è il cabaret. Così il 3 novembre 1965, in una “cantina” di vicolo della Campanella a Roma nasce ufficialmente il “Bagaglino”, inizialmente concepito come “Bragaglino” quale omaggio all’intellettuale Anton Giulio Bragaglia.

L’avventura dell’allegra brigata parte con la messa in scena de “I tabù” ed approda al “Salone Margherita” per poi sbarcare in tv con “Dove sta Zazà”.

Il successo è stratosferico e l’appuntamento col Bagaglino diventerà un appuntamento fisso, dando vita ad una particolare satira politica e di costume, superando conformismi e ipocrisie, portando in tv i vizi e le virtù degli italiani e divertendo la gente e gli stessi personaggi parodiati.

Proprio il Bagaglino ha segnato la grande l’amicizia con altri due reggini, Gigi Miseferi e il compianto Giacomo Battaglia, che con il duo Battaglia-Miseferi spopolarono con le loro esibizioni insieme a Lionello, Leo Gullotta e Pippo Franco, e per i quali Lionello, con il suo amore per Reggio e la sopraffina ironia e la “scuola di vita”, fu “un vero e proprio maestro”. 

Un puro sul palco e nella vita

Andando aldilà degli steccati, Lionello resterà sempre un “puro”, sensibile e ricco di umanità, sul palcoscenico come nella vita privata, orgoglioso di essere marito e padre di cinque figli, della propria “dinastia romana” come la definiva egli stesso.

“E quando a sera entrerò in quel di Dio, spazzerà il mio saluto l’azzurro sfavillìo e offrirò, con l’orgoglio che mai macchiai né macchio, l’indomita purezza del mio pennacchio”. Così, come le ultime parole del capolavoro di Rostand da lui stesso tradotto, Oreste se ne è andato il 19 febbraio del 2009, ben sedici anni fa. 

La sua scomparsa ha lasciato un vuoto nel patrimonio artistico dell’intero paese, ma il suo talento, i suoi occhi vispi, gli immancabili occhiali e il timbro inimitabile sono sempre impressi nel cuore del grande pubblico.

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