Madonna della Consolazione: l'”avvocata” di Reggio
Oggi la processione dall'Eremo al Duomo con una devozione che si ripete ininterrotta da secoli. Storia e leggenda del simbolo di Reggio, la Madonna della Consolazione
Un’antica devozione, un’epidemia e una festa che da secoli è il simbolo identitario della città di Reggio Calabria. Il culto della Madonna della Consolazione, che ogni anno viene portata in processione dall’Eremo al Duomo, si fonde con la storia stessa di Reggio e culmina nella festa dedicata alla santa patrona, “avvocata” del popolo. Tutto si ferma per rendere omaggio alla “vara” e a Maria.
La peste a Reggio
Una devozione, quella dei reggini, che si è consolidata fin dal ‘500 quando, secondo la tradizione, la città fu colpita da una tremenda pestilenza che la flagellò. Correva l’anno 1577 e Reggio era falcidiata da un’epidemia di peste portata dalla vicina Messina.
I lazzaretti erano gremiti e tutte le vie trasudavano odore di pestilenza. Solo nel convento dei cappuccini si respirava aria salubre. Eretto nella zona alta della città per devozione alla Madonna, il monastero era sorto dove sorgeva una piccola edicola custodita dai monaci. Secondo la tradizione, infatti, un giorno un contadino mentre zappava la terra trovò il quadro della Vergine e lo consegnò ai frati. Per un’altra versione, la tela sarebbe stata portata a Reggio da una famiglia genovese e donata ai frati della cappella sulla collina. Pare che il dipinto, trasportato più volte nella cattedrale della città, riapparisse miracolosamente nel luogo dove era stato custodito sin dall’inizio. I fedeli interpretarono così il prodigio come un segno attraverso il quale la Madonna chiedeva di erigere lì la sua chiesa. Così, all’Eremo sorse il Santuario della Madonna della Consolazione.
Il “vecchio” e il nuovo dipinto
E nel luogo in cui sorse il convento nel 1533, “sito ameno e favorevole alla meditazione”, da tempo immemorabile si venerava una antichissima effigie della Madonna, le cui origini rimangono tuttora avvolte dal mistero. In base a quanto emerge dalle fonti storiche, si trattava di un quadro piccolo e dipinto probabilmente alla “greca”, ossia con una icona che raffigurava un’”odigitria”, associata al prototipo bizantino.
Sembra che il quadro fosse così logoro che ne venne commissionato uno nuovo a Nicolò Andrea Capriolo, a spese del nobile cittadino Camillo Diano. Costui, “per sua devozione”, si portò a casa il vecchio dipinto, mentre il nuovo, più maestoso, ne prese il posto ufficialmente nel 1547.
Sulle sorti del precedente quadro si rincorrono ancora oggi le ipotesi: per alcuni il quadro era usurato “per vecchiezza”, per altri, invece, non era poi così logoro e fu sostituito con l’intento di “superare” l’impronta orientale del dipinto.
La fine della peste
Fatto sta che del vecchio quadro, custodito come sacro ricordo dal Diano, non si seppe più nulla, e che fu innanzi alla nuova opera del Capriolo, raffigurante la Vergine che sorregge il bambino, con San Francesco, Sant’Antonio da Padova e due angeli, che pregò il frate cappuccino, cui apparve la Madonna annunciando la fine dell’epidemia.
Il frate si chiamava Antonino Tripodi ed era così nobile d’animo da non tollerare la triste sorte toccata ai reggini. Perciò chiese ai propri superiori il permesso di recarsi tra gli appestati per portare loro conforto ma gli fu negato per evitare che il male si diffondesse anche all’interno del monastero.
A Fra’ Antonino allora non restava che pregare per i propri cittadini, e tutte le sere si inginocchiava davanti alla sacra effigie implorando per la sua gente. Finchè una notte prostrandosi piangendo ai piedi del dipinto per chiedere soccorso, la Vergine improvvisamente gli parlò annunciandogli l’imminente fine della peste. Il giorno dopo, secondo le testimonianze, l’epidemia era cessata.
“E griramulu cu tutti u cori: ora e sempre, evviva Maria”
Quel giorno il popolo reggino si recò in pellegrinaggio all’Eremo per ringraziare la Madonna della Consolazione. E da allora, in ogni momento di calamità e difficoltà i reggini si rivolsero a Maria che venne proclamata “patrona” e “avvocata” della città e celebrata ogni anno con una grande festa.
Oggi come allora, il secondo sabato di settembre, davanti a tutta la cittadinanza, i portatori, sotto l’enorme peso della vara, accompagnano la venerata effigie in processione dalla calata dell’Eremo sino al Duomo, con la tradizionale “volata”, gridando forte “Ora e sempre evviva Maria!“.