Lionello: un “reggino dentro”
L’amore ricambiato tra l’artista, la sua città, la sua gente. Lionello ha sempre nutrito un amore profondo per Reggio dove tornava spesso per rivedere i vecchi amici e "rimodellare" i pensieri
Discendenti della tribù degli Oschi, figli tenaci e testardi di una terra che lo aveva visto crescere, muovere i primi passi, legandolo a sé attraverso un sottile filo, mai reciso. Così Oreste Lionello considerava i reggini. Così considerava egli stesso. Perché pur arricchendo le fila degli emigrati in cerca di maggior fortuna, Lionello era rimasto “reggino dentro”, nutriva un amore profondo per la sua città e non si stancava mai di esternarlo, di gridarlo.
“Vado applicando i ricordi che Reggio mi ha trasferito nel sangue più che inculcato nella coscienza. Perché la coscienza è come la lumaca che lascia una scia di bava” dichiarava nel libro di Manlio Galimi con l’umorismo che gli era proprio. Un umorismo pronto, una fine ironia mista ad una profonda amarezza, tratto tipico del carattere dei meridionali, uniti ad un profondo senso di educazione, al savoir faire, al garbo e allo stile libero, senza “etichette”, al rigore artistico e all’umanità che rifletteva sui vizi e sulle virtù dei popoli, all’amore per la famiglia e per le tradizioni.
Erano questi i valori che la Reggio profumata di zagara e bergamotto, contadina e rurale in cui era cresciuto gli aveva inculcato, conferendo un mix unico al suo già poliedrico talento. Valori che Lionello si era portato dentro e che avevano contribuito a renderlo una delle più grandi espressioni artistiche della società italiana dal dopoguerra in poi.
Reggio lo aveva cullato e allevato da quando ancora fanciullo, vestito da valletto, chiudeva il sipario del teatro Cilea, fino all’università di giurisprudenza, a Messina, per diventare notaio, mentre dentro di sé sognava il mondo dello spettacolo.
“Facevo l’apprendistato presso lo studio del notaio villese, Guglielmo Zagari, e intanto passavo più serate al Giardinetto del ‘Siracusa’ ascoltando Glenn Miller da Saro Pedace e musica naif da Cecè Giordano, entrambi ottimi pianisti e musicisti, che a frequentare il corso di giurisprudenza. Sognavo il mio domani in compagnia di Pino Chiovaro che aveva un negozietto di spille, sic!, davanti al tempio della Vittoria e con lui cominciai a far teatro” dichiarò, egli stesso, a Manlio Galimi.
E con la tenacia tipicamente “calabrese” realizzò il suo grande sogno, senza mai dimenticare la sua terra, gioendo e illuminandosi in volto, con il luccichio degli occhi vispi, quando incontrava qualcuno dalla “sua Calabria”, e tornando spesso, per rivedere i vecchi amici, mangiare il “pescestocco” e le “frittole”, ma soprattutto, per “rimodellare” i suoi pensieri sul Corso Garibaldi e al Lido comunale.
Con la sua scomparsa, il mondo dello spettacolo ha perso uno dei pochi artisti completi, simbolo di una professionalità e di una serietà ormai in disuso, e la Calabria un altro dei suoi grandi figli, ma il ricordo di Oreste Lionello sopravvive nelle menti commosse degli amici di vecchia data, dei colleghi affermati e dei giovani che intraprendono questo mestiere facendo tesoro dei suoi insegnamenti, dei fan, della gente e della sua città che ancora oggi continua a tributarlo, orgogliosa di avergli dato le origini.