Le gelsominaie: storie di ordinaria resistenza

Tra i mestieri perduti della costa ionica reggina c'era quello delle gelsominaie, un esercito di donne che faceva turni massacranti per "portare a casa il pane" raccogliendo i fiori profumati della riviera nostrana

Al tempo della raccolta, i suoi fiori delicati e profumati inebriavano tutta la statale ionica. Fiori così piccoli quelli del gelsomino che, però, avrebbero segnato per anni il futuro della nostra terra. A raccogliere quei petali preziosi, che richiedevano mani delicate per non danneggiarli, erano le gelsominaie, donne, in gran parte giovani ragazze, che con il loro lavoro avevano trasformato la Calabria in uno dei principali centri mondiali per la coltivazione di piante da profumeria. Erano loro che “portavano il pane a casa“, per figli e mariti, sottoponendosi, a capo chino, a turni massacranti, per raccogliere i fiori destinati alla produzione di profumi.

L’ascesa del gelsomino

Ben prima che in Calabria il gelsomino ha rivestito sempre un ruolo che va oltre il semplice “ornamento”. Fin dall’antichità era conosciuto per le sue innumerevoli virtù officinali, e il suo olio, ricavato dalle delicate corolle bianche, veniva utilizzato per scopi terapeutici. I Persiani, ad esempio, lo offrivano nei banchetti, mentre storici come Dioscoride e Linneo ne lodavano le potenzialità legate alla sessualità. Durante il Medioevo, Cosimo de’ Medici lo coltivò nei giardini della sua residenza, proibendone la diffusione al di fuori. Ma una leggenda narra che un giardiniere rubò un rametto e lo regalò alla sua fidanzata, che lo piantò e lo fece fiorire con grande abbondanza. Da quel rametto, si dice, nacquero tutte le piante di gelsomino in Italia. Oggi, in Toscana, esiste una tradizione che vuole che le spose aggiungano un rametto di gelsomino al loro bouquet, come simbolo di buona fortuna e prosperità. Questo fiore, così legato a leggende e tradizioni, è anche noto per il suo potere protettivo contro gli spiriti maligni e per essere stato utilizzato come amuleto, con tracce ritrovate nelle tombe dell’antico Egitto.

La Riviera dei Gelsomini tra storia e lavoro

In Calabria, l’importanza del gelsomino nella produzione è relativamente recente, risalendo a circa un secolo addietro.

Erano i primi anni venti quando la Stazione Sperimentale per le Industrie delle Essenze e dei derivati dagli Agrumi (SSEA, nd.r.), istituita a Reggio Calabria, importò il gelsomino dalla Liguria. E qui, nell’estremo lembo dello stivale, nell’omonima costa, detta, appunto, dei Gelsomini, estesa sino a Monasterace, la pianta trovò il suo habitat naturale e la coltivazione fu praticata per molti anni.

Già negli anni ’30, tutta la fascia della costa ionica reggina si apprestava a diventare uno dei più grandi centri per la coltura di piante “da profumeria” mirando a minare il monopolio della Francia della coltivazione del fiore.

Da lì e fino alla metà degli ‘anni 70 del secolo scorso, il gelsomino caratterizzò l’economia locale, diventando non solo un simbolo della bellezza della terra reggina ma anche una importantissima risorsa economica.

Nel 1945, la provincia di Reggio Calabria (unitamente a Messina e Siracusa), produceva circa il 40% del fabbisogno mondiale di gelsomini. I fiori raccolti venivano trasformati in essenze pregiate utilizzate nell’industria profumiera. Il raccolto, per lo più, veniva inviato in Francia, dove veniva lavorato fino a diventare un prodotto finito. Il gelsomino non solo alimentava l’industria della profumeria, ma supportava anche l’economia del territorio, dando lavoro a migliaia di persone, in particolare nella zona di Brancaleone.

Le Gelsominaie: simbolo di resilienza

Gelsominaie dal libro di Ninì Martelli avventura di un uomoLe gelsominaie, le donne che raccoglievano i fiori, erano le protagoniste di questa fiorente economia. Il loro lavoro era estremamente delicato e richiedeva attenzione e fatica. Era un esercito di donne, assunte a stagione che, nelle ore notturne sino al sorgere del sole, scalze e con la schiena piegata, senza grembiuli né stivali, raccoglieva i delicati e leggerissimi fiori, con mani leggere ed esperte per non danneggiarli. Più ne raccoglievano più raggiungevano un certo peso, sulla base del quale veniva poi stabilito il salario.

Giuseppe Fava, nel suo libro, descrive come le gelsominaie camminassero a piedi nudi sulla terra, sentendo il peso della fatica nelle ossa, ma senza mai lamentarsi. Quando avevano sete, i giovani ragazzi, chiamati “portatori d’acqua”, correvano a dissetarle, un altro esempio della comunità che si aiutava reciprocamente. L’impegno delle gelsominaie non era solo fisico, ma anche emotivo, poiché queste donne sapevano che il loro duro lavoro era l’unica fonte di sostentamento per le loro famiglie.

Le lotte

I salari però erano da fame, la vita era di stenti e spesso le povere lavoratrici erano costrette anche a portare i propri figli nei campi.

A causa dell’esiguità dei pagamenti e delle condizioni di lavoro disumane, proprio queste “mondine del sud” daranno vita alle prime battaglie sindacali, a scioperi e proteste, ottenendo qualche piccolo risultato solo alla vigilia della fine della produzione del gelsomino.

Le gelsominaie si fecero portavoce nel secondo dopoguerra di lotte sindacali e rivendicazioni. Si giunse anche ad un contratto collettivo (verso la fine degli anni ’50) che segnava una piccola vittoria, ma non migliorava certamente le condizioni di vita e lavoro.

Il declino e l’oblio

Ad un certo punto, poi, tutto cessò. Nel bel mezzo degli anni 70, il progresso dell’industrializzazione, con l’avvento della meccanizzazione e delle molecole sintetiche che sostituirono le essenze naturali nell’industria profumiera, pian piano cessarono le commesse e l’economia locale entrò in crisi. Inoltre, la concorrenza dei paesi a basso costo di manodopera nel Mediterraneo contribuì ad indebolire l’economia legata al fiore.

Fu il declino della raccolta del gelsomino. Abbandonati i campi, le gelsominaie tornarono a casa. Così, mentre la memoria di una tradizione che ha plasmato l’identità di una comunità rimane viva nell’altisonante nome (ad uso e consumo dei turisti) della “Riviera dei gelsomini“, la storia delle donne che portavano a casa il pane, delle loro fatiche e delle loro lotte divenne labile e praticamente dimenticata.

Negli ultimi anni, però, grazie anche al documentario “La Rugiada e il Sole” realizzato dall’UDI di Reggio, si assiste ad un percorso di recupero della memoria di queste donne coraggiose che hanno lottato con coraggio per il proprio lavoro e la propria vita.

Le gelsominaie infatti non erano solo lavoratrici, ma simboli di resilienza e determinazione e la loro storia rimane un capitolo fondamentale della storia della nostra terra. Un capitolo scritto con il sudore e l’impegno di donne che hanno vissuto e lavorato per un sogno che ha profumato il mondo.

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