L’antica (e gloriosa) Reggio raccontata da Castrizio

L’incontro di domenica nell’ambito della rassegna Calabria d’Autore di Incontriamoci Sempre alla “Chiesa di Pepe” si è trasformato in una vera e propria lectio magistralis dell’illustre professore sulla storia della città

Foto di Demetrio Surace

Stracolma come non mai, finanche nella sagrestia e sul sagrato nonostante il freddo, la Chiesa della Madonna dei Poveri, per tutti “a Cresia i Pipi” ha accolto domenica sera l’atteso incontro con il prof Daniele Castrizio, nell’ambito della rassegna Calabria d’Autore organizzata dall’associazione Incontriamoci Sempre capitanata da Pino Strati.

Quello che era un incontro sulla chiesa e sul Trabocchetto si è trasformato in una vera e propria lectio magistralis con cui l’illustre professore, numismatico, storico e profondo conoscitore e cultore della storia reggina ha intrattenuto il pubblico descrivendo la città antica con riscontri storici e aneddoti.

All’incontro sono intervenuti anche il parroco Don Tonino, che ha promesso di far stampare il libro scritto da padre Carlo Longo sulla chiesa, “un compendio di storia e di spiritualità sul luogo”, e Monsignor Pasqualino Catanese, vicario generale dell’arcidiocesi di Reggio-Bova.

La conduzione della serata è stata affidata al poeta e scrittore Giovanni Suraci che ha introdotto con delle bellissime parole Castrizio, “dichiarandosi onorato di essere reggino proprio perché suo concittadino”.

L’antica (e gloriosa) storia di Reggio

Con il suo consueto modo di raccontare, dotto e leggero al contempo, inframmezzato da battute e da una carrellata di gustosi aneddoti, Castrizio ha intrattenuto il foltissimo pubblico spaziando su secoli di storia della città.

Partendo dal ruolo fondamentale del quartiere Trabocchetto nella fondazione di Reggio, e nella sua difesa, il professore ha compiuto un vero e proprio viaggio tra storia e memoria.

Qui, proprio sulle colline del Trabocchetto, infatti, sorgeva un tempo l’acropoli della città, dove si rifugiava Anassila, qui i reggini riuscirono a difendersi per mesi dalla distruzione del tiranno Dionisio che poi costruì la sua reggia a mare, dove, all’interno di “un’isola appositamente costruita, con un ponte levatoio riceveva le due mogli, una Locrese e una Siracusana”. Qui il forte dell’Exokastron resistette per due secoli agli assalti dei Saraceni. Qui, furono ritrovate intere case antichissime, tesoretti dei mercenari. Qui, la città tenne testa ad Annibale che proprio a Reggio ricevette le due uniche sconfitte sul territorio italico. Qui, c’era la via “Cupola”, la via sacra che portava all’acropoli, esistente ancora oggi.

Qui scorreva l’importante fiumara “Orangi” e si insediarono inizialmente Calcidesi e Messeni quando fondarono Reggio. Qui, infine, nacque il nome Italia e si estese poi all’intera Penisola, “senza che i Reggini facciano nulla per rivendicarlo”.

‘A Cresia i Pipi

In questo contesto, illustrato dal professore, nel nucleo più antico della città si colloca la storia della chiesa che nacque come chiesa del Santissimo Salvatore, bizantina del X secolo, che poi divenne di San Paolo e infine della Madonna dei Poveri, ma che per tutti rimane “’A Cresia i Pipi”, dal pasticcere Paolo Albanese, chiamato Paulu Pipi che, dopo il terremoto del 1783, acquistò il terreno e i ruderi e la ricostruì dandole il suo nome.

“Era la chiesa dittereale – ha spiegato Castrizio – la seconda chiesa di Reggio e sicuramente la più antica ancora in piedi in città”. Un edificio di culto, di origine bizantina, che ha sempre rivestito una grandissima importanza in diverse epoche, anche recenti, quando nei periodi di peste venne impiantato proprio di fronte il lazzaretto, quando divenne la dimora di Don Orione, quando era il punto di partenza della processione detta “della Sannà”, che suggellava l’incontro tra il rito greco ortodosso e quello cattolico, passando per la via Osanna e giungendo a piazza Italia “in groppa a un mulo”.

Un evento particolarmente suggestivo, farcito da Castrizio con simpatici aneddoti, come quello della scoperta di padre Carlo, all’interno della chiesa, dei graffiti greci: una firma, probabilmente di un muratore, Moses, e un “fallo” che il buon frate inquadrò come “simboli apotropaici” per levarsi dall’imbarazzo.

La lectio si è incentrata, quindi, proprio su padre Carlo Longo, storico dittereo della chiesa e figura straordinaria che ha custodito e valorizzato la memoria del luogo per decenni.

Il ricordo di padre Carlo

Tanti gli episodi e le storie raccontate dal professore su di lui, uomo di pace che “diede anche uno spazio di preghiera ai musulmani”, che “organizzava delle ‘riffe’ a premi per i giovani della parrocchia ma sempre a scopo culturale e si annotava le parole in dialetto reggino”.

Padre Carlo “non era reggino ma ha voluto esserlo perché amava questa città – ha detto infine Castrizio – e ha combattuto fino alla fine per ricostruire questa chiesa”. Reggio forse “non lo ha mai capito, ma ricordo che una volta che andò nelle Filippine i giornali titolarono in prima pagina ‘è arrivato padre Carlo Longo’. Era uno dei più grandi professori di letteratura cristiana – ha concluso il prof – la sua bibliografia è sterminata e un cultore veramente importante oltre che figura eccezionale di maestro spirituale”.

Da qui la proposta e l’impegno, a circa 7 anni dalla sua scomparsa, di far intitolare una via a suo nome. 

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