La Madonna della Montagna: storia, leggende e riti

Un santuario dalla storia millenaria e una festa antichissima quella dedicata alla Madonna della Montagna su cui aleggia un'infinità di leggende che partono dalla Sibilla Cumana e arrivano a un "vitello"

Storia e leggenda, nel santuario della Madonna di Polsi, “A Maronna ‘ra muntagna” in dialetto reggino, vanno a braccetto. Non poteva essere altrimenti, del resto, in un luogo così incantato immerso in un silenzio surreale. E se per la storia, il santuario ebbe origine come rifugio di monaci bizantini, o addirittura si fa risalire alla Magna Grecia e al culto legato alla dea Demetra, le leggende narrano, invece, che nacque quale “dispetto” alla Sibilla Cumana ovvero grazie a una croce misteriosa trovata da un pastorello e da un vitello.

La leggenda della Sibilla Cumana

Tanti e tanti secoli fa, secondo le leggende, tra i sentieri tortuosi e il verde rigoglioso dell’Aspromonte trovava dimora la Sibilla Cumana. La maga viveva, insieme al fratello Marco, in un castello circondato da un giardino dai fiori profumati, dove chiunque era invitato ad entrare. In questo luogo baciato dal sole, la Sibilla che era bellissima e sapiente, insegnava alle fanciulle le arti le scienze. Un giorno, però, tutto cambiò.

Il sogno di Maria

Una delle giovani allieve, di nome Maria, raccontò alla Sibilla di aver fatto uno strano sogno: un raggio di sole le entrava nell’occhio destro per poi uscirle dal sinistro. La maga divinò il sogno e capì che la fanciulla era destinata ad essere la madre di Cristo e presa dall’ira, perché era sicura di essere lei la prescelta, diventò cattiva e non insegnò più nulla a nessuno. Un giorno, quando seppe che il figlio di Dio era nato da Maria, confidò il suo dolore al fratello. Lui, per vendicare la sorella, trovò Cristo e lo colpì sulla guancia con la mano destra. Questo gesto, valse a entrambi la dannazione divina. Marco fu condannato a vagare in eterno tra gli antri del castello e a colpirne continuamente con la mano, tramutata in mazza di ferro, le mura. La Sibilla, invece, fu imprigionata in quel luogo che abbandonato dal sole divenne lugubre e triste, e costretta a rodersi dall’ira per l’eternità.

Col passare dei secoli, proprio di fronte all’antro della Sibilla, sorse il santuario dedicato alla Madonna di Polsi, il cui sguardo è sempre rivolto alla grotta della maga malvagia per far sì che non trami vendetta. Solo in un’occasione, la “Mamma della Montagna” distoglie il proprio sguardo. Quando il popolo la porta in processione, la vara viene fatta uscire dal santuario con le spalle girate, quasi in segno di scherno. E quando la statua, così rivolta, ritorna in chiesa, oscure nubi coprono la montagna e c’è chi giura di sentire i colpi di una mazza e l’eco di eterne imprecazioni.

La croce di San Silvestro

Oltre a quella della Sibilla, per le leggende il culto della Madonna di Polsi nacque invece grazie al ritrovamento di una misteriosa reliquia che pare fosse la croce di San Silvestro.

Del ritrovamento si hanno più versioni, ma il protagonista è sempre un giovane vitello.

La versione più nota narra di un pastorello di nome Italiano che aveva disperso uno dei propri vitelli tra le montagne. Dopo averlo cercato ovunque, lo ritrovò inginocchiato a frugare la terra, dissotterrando una piccola croce di ferro. Al pastorello, a quel punto apparve la Madonna che gli manifestò il desiderio che proprio in quel luogo si edificasse una chiesa in suo onore.

Un’altra versione, invece, ha per protagonista, Ruggero il Normanno, il quale durante una battuta di caccia, udì latrare i suoi cani dal fondo della vallata. Accorse e vide un vitello inginocchiato davanti alla croce nascosta dal futuro papa Silvestro, prima di recarsi a Roma e convertire l’imperatore Costantino al cristianesimo. Per devozione, Ruggero diede ordine di edificare una chiesa.

Eroe indiscusso di tutte le versioni è sempre il giovane bovino che fu l’artefice del prodigioso recupero. E forse è per questo che, accanto alle carovane di pellegrini che rendono omaggio alla madre della montagna, anche gli animali hanno diritto di entrare al santuario.

Un santuario dalla storia millenaria

Il Santuario della Madonna della Montagna di Polsi è uno dei luoghi di culto più antichi della Calabria. Situato nel cuore dell’Aspromonte è incorniciato da un paesaggio pittoresco e, a differenza della maggior parte dei santuari, non si trova su una vetta ma sul fondo di una vallata a più di 800 metri sul livello del mare.

Pare che l’originaria costruzione risalga all’XI secolo, come convento basiliano, ma secondo alcuni studiosi le sue origini sono ancora più antiche. La sua prima menzione si ritrova nel carteggio di Bonifacio VIII databile tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300.

Al suo interno, è custodita la scultura in tufo della Vergine che viene rimossa dalla nicchia dell’altare maggiore soltanto per l’incoronazione, una statua in legno più leggera che viene utilizzata per la processione, la Santa Croce e altri cimeli.

Di fatto, il santuario è da secoli luogo di incontro e preghiera per la gente del posto e per le migliaia di pellegrini, provenienti da tutta la Calabria e la Sicilia, che ogni anno vi si recano per rendere omaggio a Maria della Montagna.

La “Grande Festa”

Le celebrazioni “ufficiali” della “Grande Festa” a Polsi, come l’aveva definita Corrado Alvaro iniziano proprio in questi giorni e proseguono fino a fine settembre. Il clou è la notte sacra tra il primo e il due settembre, con la veglia fatta di preghiere, canti e balli aspettando il giorno della festa solenne e della processione.

Sono tantissime le carovane di pellegrini che giungono al santuario, anche con i caratteristici camion addobbati.

L’ultimo tratto va percorso a piedi e i fedeli quando entrano in chiesa intonano canti, invocano la Madonna ad alta voce, richiedono la grazia. Lasciano ex voto e offerte. Molti camminano a piedi nudi. Qualcuno ancora percorre la navata in ginocchio. Un tempo, lungo il percorso, disseminato di bancarelle dei macellai che procedevano al “sacrificio” di svariate centinaia di animali, si raccoglievano pietre che venivano portate in spalla o sulla testa in segno di devozione. Si strisciava persino la lingua sul pavimento (oggi rito ripudiato dalla Chiesa), per invocare l’intercessione di Maria. In un mix tra devozione religiosa e culto pagano. Tra sacro e profano.

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