La guerra di Paulinuzzu Millarti - CULT and Social

La guerra di Paulinuzzu Millarti

di Antonio Calabrò – Paulinuzzu ha il viso e le forme di Andrea Puglisi e la voce calda col timbro siculo delle notti stellate all’olio d’oliva e alla zagara, ma la sua voce è colma di altre voci, quelle dei 28.397 marinai italiani crepati durante la Seconda guerra mondiale, aggrappati alla speranza sognante del protagonista e alla sua disperata voglia di vivere. Quella voglia che lo sorregge, quel desiderio di tornare ai suoi profumi di Portopalo, alla luna che si affaccia, racconta, sul grande diamante che il Creatore in persona ha piazzato nel cuore del Mediterraneo battezzandolo Sicilia, da cui viene strappato a vent’anni per la gloria e le vittorie dell’impero e della regia marina.


Paulinuzzu è sul Borea, cacciatorpediniere sgusciante, e prima partecipa tranquillo alla proditoria invasione dell’Albania, ma poi, il 10 Giugno del 1940, il testone del duce, replicato con mimica esilarante da Paulinuzzu di schiena, annuncia tronfio l’ora delle grandi decisioni ed è subito Inferno, Tobruk e Balbo sotto il fuoco amico, il crepitare della mitraglia che diventa sottofondo, i boati sordi dei pezzi da 102 familiari come tuoni, è guerra di sangue con gli aerei nemici che portano la morte sibilante e squassante e i corpi degli amici che diventano brandelli sanguinanti.Andrea Puglisi scala l’intensità del racconto, ci porta tra la paura, il terrore, lo sgomento, interpreta momenti di micidiale intensità che fanno male perché diventa facile immedesimarsi, lo segui su quel palco scarno che nella mente diventa ingombro come un porto militare, e ti sembra di vederli, in alto, quei minuscoli Swordifish che sganciano pacchi esplosivi da 227 chili, il tavolo si fa mitragliera Vickers-Terni 40/39, la sua voce è quella dei compagni, e sono urla d’allarme, d’avvertimento, di terrore.


Il pacco arriva, arriva, arriva e poi il botto.
La testa nel fuochista rotola lontano.
La nave affonda in porto e la gamba maciullata di Paulinuzzu, steccata e curata male, quasi esplode e nell’ospedale da campo, lui si sveglia ma non ha tempo per riaddormentarsi, arrivano gli Inglesi e fanno tutti prigionieri, e allora amputiamo, ma quando mai, via il gesso, via il fetore della lacerazione, Millarti che s’inventa l’arte di sopravvivere, mantiene la gamba, la vita, la dignità, ma perde la libertà. Zonderwater, in Sudafrica, 100.000 italiani al lavoro pagano il prezzo al duce e alla sua boria, altro che Borea, e lui s’ingegna, s’industria, impara mestieri e dimagrisce, secco come un fuso alla fine sogna la Sicilia, e sopravvive, ci riesce, non esce più dal corpo di Andrea Puglisi talmente bravo che forse è posseduto, un marinaio reincarnato, per una trascinante prova d’autore nei contenuti, nella forma, nel sentimento che ne scorga, talmente alto da brillare come quel diamante di luce siciliana creato per gli uomini che sognano, come il pubblico – muto – di fronte a tutto questo.


Scritto e interpretato da Andrea Puglisi, liberamente tratto dal libro “Le avventure di Nuzzu Millarti” di Francesco Montalto, per la regia di Benedetta Nicoletti e con la partecipazione di Christian Bruno, lo spettacolo è una produzione Officine Jonike Arti ed è andato in scena per la prima volta a Reggio Calabria al Globo Teatro Festival nell’ambito del progetto “ReggioFest2023: cultura diffusa”.

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