In viaggio con Warhol fino a Banksy

Un percorso immersivo tra i maggiori artisti dell'arte contemporanea grazie alla mostra "Pop to Street Art influences” organizzata dall'Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria

Un ingresso col “botto” con le “Campbell” in primo piano e “The Shadow”, un’ombra che segue i visitatori in tutto il percorso, accompagnandoli nella transizione, nel dialogo, tra la Pop e la Street art. Parte così il cammino all’interno della mostra “Pop to Street Art influences” ospitata nella prestigiosa sede dell’Accademia di Belle Arti e del palazzo della Cultura Pasquino Crupi di Reggio Calabria, con alcune opere anche presso il MArRC.

Parliamo di oltre 170 opere, originali e after, tra disegni, manifesti, litografie, serigrafie e tanto altro che, attraverso le realizzazioni più celebri (dalle lattine di zuppa Campbell, alla serie di Marilyn Monroe passando per Fertility di Keith Haring sino a Banksy) tracciano un vero e proprio percorso volto ad esplorare l’evoluzione artistica e l’influenza della Pop Art sulla Street Art, partendo dalle tre icone per eccellenza Andy Warhol, Keith Haring e Banksy per giungere ad altri interpreti di grande rilievo di entrambi i movimenti artistici.

Il bilancio della mostra

Aperta dal 20 luglio scorso, la mostra, che doveva chiudere i battenti il 3 novembre, è stata prorogata fino al 5 gennaio 2025, dato il “bilancio estremamente positivo di visitatori e apprezzamenti che ne hanno dimostrato la valenza sul territorio, realizzando il doppio obiettivo primario della divulgazione e della formazione”, afferma il direttore dell’Abarc, Pietro Sacchetti.

L’evento, che ha per curatore Jean-Christophe Hubert, ospitato su tre sedi, in un percorso funzionale, che ha rappresentato un vero e proprio abbraccio alla città, muovendosi dall’esposizione newyorkese di galleria a quella museale, è stato organizzato dall’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, con la collaborazione del Palazzo della Cultura e con il patrocinio della Città metropolitana, del MArRC, della Camera di Commercio e della neonata associazione Nike, con la sua presidente Irene Calabrò, che, proprio sul fronte artistico e culturale, ha siglato anche un importante protocollo di collaborazione con l’Abarc.

“L’accademia, quale istituzione, ha un ruolo ben preciso che si collega al territorio – conferma Sacchetti – e in questi ultimi anni abbiamo aperto le porte alla città, in un dialogo che abbiamo voluto fortemente creare con le associazioni culturali, con l’amministrazione e le istituzioni, perché ritengo che Reggio Calabria abbia bisogno anche di questo sostegno, che sia importantissimo fare rete quale chiave per lo sviluppo”.  

In viaggio con Warhol verso Banksy

Il viaggio nella pop e nella street art, che tantissimi tra cittadini, turisti, italiani e stranieri, e studenti delle diverse scuole hanno potuto compiere in questi mesi inizia proprio in via XXV Luglio, nella sede dell’Accademia.

Qui il padrone di casa è Andy Warhol, con quanto di più impattante poteva essere proposto sin dall’ingresso: la mitica serie completa delle Campbell. “Un richiamo anche coloristico che ci ha spinto a riformulare anche l’accademia in una sorta di galleria d’arte, proprio seguendo questo concetto di cromico accordo tra il rosso e il bianco che richiama la nota serie di Warhol” spiega l’exhibition manager della mostra, il professor Domenico Michele Surace che ci accompagna come un novello Virgilio in questo cammino.

Dalle Campbell, in modo un po’ sotteso, si arriva a “The Shadow”, l’autoritratto di Warhol, un’ombra che segue i visitatori in tutto il corridoio, “come una presenza costante che si attenua man mano che ci allontaniamo dai primi esiti della Pop Art fino a raggiungere un’integrazione quasi con la Street art attraverso l’esperienza diretta dello stesso Warhol” illustra Surace.

E sebbene qui sia Warhol il padrone indiscusso di casa, mentre a Palazzo Crupi, il ruolo spetta ad Haring, “non c’è un ordine prioritario di visita tra l’una e l’altra sede, perché i due percorsi e gli stessi artisti si intrecciano” sottolinea il docente.

Infatti, nel lungo corridoio dell’Accademia, sempre “scortati” dall’ombra, ci si addentra tra i capolavori di Warhol, dallo sbarco sulla Luna “Moonwalk” alle Celebrities, ritrovando però anche Keith Haring e passando gradualmente e poi pienamente ai massimi esponenti della Street art.

Dall’ineluttabilità di un “concetto storico trasmigrato all’interno della vicenda artistica che spinge lo spettatore a rapportarsi con l’opera, a stringere quasi un rapporto intimo con la stessa, come avviene nelle Campbell o in the Moonwalk, alla ricerca dei dettagli diversi in quello che apparentemente nasce per essere in serie”, si arriva alle Celebrities. “Il rapporto persona-personaggio, un parallelo che ci porta a tanti interrogativi, con il soggetto che diventa non solo opera d’arte, ma addirittura storia dell’arte, attraverso un volto” continua Surace. E così i tanti volti celebri, tra cui le iconiche serigrafie su Marylin Monroe, in cui Warhol sviluppa il suo ragionamento sulla morte, “concettualizzandola non più attraverso la rappresentazione del moribondo ma con dei simboli o con l’alterazione della sua immagine più celebre, della sua memoria”. Ma anche le Flowers,  “che ci danno l’idea di quanto persino un soggetto assoluto della storia dell’arte, come i fiori, può mostrarci un valore molto più percettivo quasi intimo di quanto effettivamente la modernità ci aveva palesato, facendoci ragionare su cosa sia lo slancio dal moderno al contemporaneo” aggiunge l’exhibition manager.

Da Warhol a Haring

Così avviene il passaggio a Keith Haring, in qualche modo “discepolo” di Warhol. Sebbene “non costruito da Warhol , non si è trattato di un tutoraggio, c’è stata una vera e propria forma di collaborazione” spiega ancora Surace. “Haring è il responsabile della traslazione della Pop Art alla strada, in primo luogo nelle metropolitane, quanto di più underground di un underground se non trasportare le opere nei luoghi di fruizione di massa, creando quel particolare gioco intellettuale per cui l’arte che al museo si paga con biglietti costosi, è offerta al prezzo di un biglietto della metro” esplica il professore. Su questo piano meno aulico e altisonante, seppur non vanno a scomparire le iconografie, abbiamo la serie “Fertility”, che richiama tanto la danza di Matisse quanto le opere antiche, etniche, i soggetti della maternità, e anche “il prodotto della maternità, il baby radiant, offrendo con semplici linee tutto quello per secoli e secoli gli artisti hanno voluto chiamare dinamismo”.

Haring trova la sua casa speciale anche al palazzo della Cultura, dove, nella stanza dedicata ad “Apocalypse” ci si può sentire “avvolti”. “Si ha quasi l’impressione di vivere il suo dramma (ndr, quello dell’Aids). Apcalypse – conferma Surace – è l’ultimo grido di questa rivoluzione interiore, di un messaggero consapevole, in quanto vissuto in prima persona, di questo dramma”.

Ecco la Street Art

Da Haring, il viaggio prosegue con Basquiat altro personaggio emblematico della trasformazione della pop art. Poi, Paolozzi, l’aggancio tra pop e street art di Mr. Brainwash con Lennon che richiama il mito delle Celebrities e, con un rovesciamento di fronte da un corridoio all’altro, ci ritroviamo con gli interpreti di ultima generazione, come Obey, un diktat, una provocazione a partire già dal nome.

“Obey è anche il responsabile della viralità dell’arte, colui che ha creato in qualche modo il volantinaggio artistico” riferisce ancora il prof. Poi, i grandi concetti di fratellanza, il conflitto Occidente-Oriente. Temi sociali e, insieme, una sorta di avvicinamento alla Street Art europea, con Invader e le sue opere ispirate all’alieno del videogioco Space Invaders, ma anche al surrealismo di Magritte. Si arriva così alla “bomboletta spray”, il mondo della Street Art puro è arrivato, non dimenticando la Pop Art ma aggiornandola.

E, infine, in una sala a lui dedicata, il cammino finisce con Banksy, un universo a lui dedicato accompagnato anche dal documentario, fruibile dai visitatori, “Exit Trough the Gift Shop” che dà l’idea della dimensione degli Street artist dall’interno, della loro collaborazione, del loro lavoro e persino degli scontri.

Il tutto circondati da un universo di litografie e opere che vanno a richiamare le tomato soup.  “Siamo di fronte alla trasformazione delle Campbell operata dal mondo della Street” conclude Surace. Così finisce il viaggio, con questo “trait d’union che completa il cerchio, un ulteriore aggiornamento iconografico, volto a dare un senso di ineluttabile disillusione“.

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