I cinque anarchici della Baracca

Una storia quella dei cinque ragazzi che persero la vita tragicamente nell’estate del ’70 su cui non è mai stata fatta luce. La loro memoria resta viva anche grazie alla sorella di Gianni, Antonella Aricò intervenuta pubblicamente in occasione dello spettacolo del Kollettivo al CSOA Cartella

In un mondo che vive più di labili impeti e di poca memoria, le vite di cinque giovani ragazzi hanno ripreso forma, almeno per una sera, grazie al monologo inscenato dal Kollettivo Kontrora e alla testimonianza diretta di Antonella Aricò, sorella di Gianni uno dei Cinque anarchici della Baracca. Ma andiamo per ordine e scopriamo chi erano questi 5 ragazzi scomparsi misteriosamente il 26 settembre del 1970.

Lo spettacolo al CSOA Angelina Cartella

Nel giorno del 54° anniversario della scomparsa dei cinque giovani, la coinvolgente rappresentazione del monologo “Quattro pezzi facili meno una” di Francesco Galelli – con la drammaturgia di Francesco Aiello e Giovanni Battista Picerno e la regia di Francesco Aiello –  proposta dal collettivo Kontrora di Cosenza, ha brillantemente riportato uno spaccato di storia e di vita, spesso lasciato ai margini della narrativa, adombrandone in tal modo i risvolti sociali e culturali, soprattutto per la città reggina in riva allo stretto.

“Quattro pezzi facili meno una”, uno spettacolo che non ha proposto una mera narrazione dei fatti bensì con una prospettiva inedita, ha raccontato la storia degli “Anarchici della Baracca”, tassello emblematico dei roventi anni Settanta.
Cinque giovani che avevano indagato sugli eventi accaduti nell’estate del ‘70 nella piccola città del profondo Sud e che, in solitaria tentavano di riportare alla luce verità nascoste. Quel giorno al Csoa Angelina Cartella non si è celebrato solo l’anniversario dalla misteriosa scomparsa ma grazie ad una eccellente rappresentazione quel giorno si è voluto ricordare, quel giorno si è voluto testimoniare così come ha fatto Antonella Aricò ,sorella di Gianni uno dei giovani che ha messo la sua vita  in “gioco”   per un’ideale di libertà e giustizia.

Cinquantaquattro anni di mancata giustizia

Una vicenda singolare che conserva tuttora una forte risonanza per la collettività, tesa a sottolineare l’urgenza di parlare ancora oggi dei cinque ragazzi scomparsi nel 1970, e soprattutto “per comprendere anche quello che avvenne dopo” ed il dovere morale di continuare a credere e cercare giustizia, queste le parole dell’autore e regista Francesco Aiello.
Tra i momenti più intensi della serata, l’intervento di Antonella Aricò, sorella di Gianni, che a distanza di più di mezzo secolo di silenzio è adesso testimone di una storia spesso dimenticata e desiderosa di giustizia.  Occasione importante e, al tempo stesso, spunto di riflessione per una coscienza collettiva che vuole far luce su una vicenda che merita, a tutt’oggi, ulteriori approfondimenti.

Per molto tempo la cronaca parlò di un incidente, tralasciando tutti quegli elementi, strani ed inquietanti, emersi in corso di indagine che, piuttosto, avrebbero dovuto condurre le Autorità ad approfondire l’accaduto. Ma si sa, gli anni settanta rappresentano un capitolo abbastanza “enigmatico” della storia italiana.
Così come risultò altrettanto misteriosa – nonostante l’intervento celere della polizia sui luoghi dell’incidente, a soli venti minuti dall’impatto – la scomparsa di tutti i diari e i documenti appartenenti giovani anarchici e mai restituiti alle famiglie.
Una storia emblematica per l’interna nazione poiché proprio in quell’estate del 1970, nel caos delle persecuzioni poliziesche, dei deragliamenti e dei moti di Reggio, si creava un’occulta alleanza tra ‘ndrangheta, destra eversiva, massoneria, servizi segreti.

La verità a tutti i costi

“Ma cosa volevano questi ragazzi, cosa volevano?  Volevano la verità e volevano che a tutti costi venisse fuori la verità….ma questo non era possibile , è stato facile eliminarli, abbastanza semplice in quel periodo, occultare far sparire”

Antonella Aricò è per motivi ben chiari la più vicina a questa storia, sorella di Gianni; per anni ha portato con sé il peso ed il dolore della vicenda, fino a quando – la sera del 26 settembre, presso il collettivo CSOA di Reggio Calabria – ha trovato la forza di parlane pubblicamente, infrangendo il suo silenzio. È stata un incontro carico di emozioni, del quale si riporta una parte del suo intervento.

Erano cinque ragazzi non cinque nomi

Parliamo di cinque ragazzi, Gianni, Franco, Luigi, Angelo e Anneliese.

Non sono cinque, nomi erano 5 ragazzi che andavano dai 26 anni di Luigi ai 21 anni di Gianni mio fratello, 22 anni di Franco ed i 17 anni di Anneliese. Lei non era neanche una maggiorenne, avevamo la stessa età ed è stata una sorella, un momento di luce che è arrivato a casa mia. 

Erano i tempi della bomba di Piazza Fontana e dopo quell’esplosione infernale lei, mio fratello Gianni e Angelo erano stati arrestati. Per Gianni e Angelo il carcere durò solo dieci giorni. Anneliese invece ci è rimasta in carcere 3 mesi, perché minorenne perché “ straniera” cosi veniva nominata…ma lei non era straniera era la moglie di mio fratello ed  era una di noi e su di Lei sono state scritte cose errate.

Ma cosa volevano questi ragazzi cos a volevano? – continua Antonella –   Volevano la verità e volevano che a tutti costi venisse fuori la verità….ma questo non era possibile, è stato facile eliminarli, abbastanza semplice in quel periodo, occultare e far sparire.

Oggi sono 54 anni; purtroppo, nei miei primi 40 non ho avuto la forza neanche di nominare il nome di mio fratello vivendo nell’oblio totale, poi ad un certo punto qualcosa ha fatto scatenare una molla, ho detto non posso continuare a stare zitta, qualcuno mi ha detto ma tanto dopo 54 anni fa cosa vuoi che succeda tanto la verità non verrà mai più fuori – beh io vivo perchè spero, penso e credo che possa ancor venire fuori la verità…altrimenti sapete cosa significherebbe ? Che questi Cinque  ragazzi son morti inutilmente se noi continuiamo a pensare che non possa succedere nulla. Vorrebbe  dire che tutto è stato inutile ed io non lo posso permettere affinchè tutto finisca nel silenzio nell’oblio con un pazienza ma pazienza cosa.

Bisogna risvegliare le coscienze

Volevo ringraziare tutto il Kollettivo di Cosenza  per la rappresentazione ed   il CSOA CARTELLA perchè soprattutto si parla di Annalisa una ragazzina di 17 anni forte sicura, meravigliosa piena di paure, il carcere che aveva fatto era stata durissimo senza capire perché fosse ancora dentro. Uno shock ricorda – Anotnella-  , lunica sopravvisuta nella notte del 26 settembre , lei morì  20 giorni dopo e, mentre speravamo si svegliasse, qualcun’altro sperava il contrario ed è stato accontentato.

Per me questa è la casa dei Cinque ragazzi perché so che loro qui stanno bene e che sono felici e continuiamo a lavorare per mantenere una memoria , perchè non è giusto dimenticare la storia soprattutto di quel periodo gli anni 70 che hanno cambiato la storia.

Non c’è la coscienza di ciò che hanno rappresentato gli anni 70 che hanno cambiato l’Italia, manca la coscienza di ciò che è successo in quegli anni ed oggi noi paghiamo lo scotto di quello che allora è incominciato.

Abbiamo bisogno di parlare, di confronti e risvegliare le coscienze andare nelle scuole e raccontare la storia di quegli anni”.

La storia: il mistero sulla morte dei 5 anarchici

Cinque giovani, che si facevano chiamare “gli anarchici della Baracca” per via della villa liberty che avevano occupato a Reggio Calabria e trasformata nel loro quartier generale, muoiono misteriosamente in un incidente stradale tra Ferentino e Frosinone, mentre viaggiano verso Roma. È il 26 settembre del 1970. A bordo della loro Mini Minor gialla, i cinque giovanissimi, il più grande ha 26 anni e i più piccoli appena 18, stavano trasportando documenti importanti riguardanti la rivolta di Reggio Calabria, la strage di Gioia Tauro e altre indagini su neofascisti e ‘ndrangheta. Il loro scopo era portarli alla redazione di un settimanale e a un avvocato con cui avevano appuntamento per mettere nelle loro mani il materiale accumulato in mesi di ricerche che svelava il legame tra neofascisti, ndrangheta e gli eventi stragisti avvenuti a Gioia Tauro e le vere ragioni del boia chi molla. E finanche il golpe Borghese. Ma a una cinquantina di chilometri da Roma i loro propositi vengono fermati per sempre. La mini gialla si schianta contro un camion che porta pomodori fermo a luci spente sul ciglio della strada. L’impatto non lascia scampo. La dinamica dell’incidente però non convince, i corpi lanciati fuori dall’auto e il camion intatto e soprattutto i documenti che misteriosamente scompaiono dopo l’incidente, alimentando i sospetti su una possibile manomissione della scena.

Ma in giro si cominciano a mettere strane voci, erano ubriachi, andavano veloce, … mentre le voci su un possibile coinvolgimento in attività sovversive distraggono l’attenzione dalle vere circostanze della loro morte. Così l’inchiesta sul loro decesso venne archiviata nel 1971, lasciando molte domande senza risposta.

Nel 1993, alcuni collaboratori di giustizia confermano la connessione tra neofascisti, ‘ndrangheta e gli eventi su cui ragazzi stavano investigando. Nel 2001, il procuratore Salvo Boemi sospetta che i ragazzi avessero trovato documenti importanti, che avrebbero potuto svelare una rete di complicità che collegava Reggio Calabria a Roma e rivelare dettagli anche sul piano golpista di Junio Valerio Borghese. Ma fu il buio.

Ma chi erano i cinque “anarchici della Baracca”?

Ma chi erano quei cinque ragazzi, tanto giovani da occuparsi di cose così scottanti? Erano giovani militanti anarchici impegnati in lotte sociali e politiche che avevano scoperto fatti scottanti e che volevano denunciarli pubblicamente affinchè venisse fatta giustizia.

Luigi Lo Celso, nato a Cosenza nel 1944, era un socialista che negli anni ’60 aveva fondato il circolo anarchico Bakunin e si era unito agli anarchici di Reggio Calabria dopo gli attentati di Roma e Piazza Fontana.

Angelo Casile, nato a Reggio nel 1950, era un artista (pittore e scultore) impegnato nell’anarchismo e aveva viaggiato molto, partecipando anche a lotte dei minatori in Belgio.

Gianni Aricò, nato nel 1948, era un promettente schermitore che aveva dedicato la sua vita alla politica e alla scrittura.

Franco Scordo, il più giovane, nato nel 1952, era un appassionato di musica, in particolare del pianoforte, e combinava la sua passione per la musica con un impegno politico.

Infine, Annelise Borth, soprannominata “Muki”, classe ’52, era una giovane tedesca con un passato di fuga da un riformatorio e un arresto in Italia. Aveva sposato Gianni Aricò e pare fosse incinta.

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