Guerrazzi, una vita a Genova con la Calabria nel cuore
L'operaio e l'artista Vincenzo Guerrazzi non dimenticò mai la propria terra, raccontandola nel suo romanzo d'esordio "Nord e Sud uniti nella lotta"
Non gli piaceva il senso di appartenenza, eppure Vincenzo Guerrazzi la Calabria, dalla quale si allontanò giovanissimo per emigrare a Genova, non l’ha mai dimenticata. Per un lottatore come lui, che ha dedicato tutta la vita a denunciare le condizioni delle classi deboli e a condannare gli interessi dei poteri forti, le sue origini calabresi non potevano che restargli nel cuore. E forse furono proprio quegli anni della giovinezza trascorsi a Mammola a contribuire alla sua formazione, al suo dna.
Del resto, come diceva Corrado Alvaro: “il calabrese o è pessimo o è ottimo, non conosce mezze misure”.
Che Guerrazzi avesse a cuore le sorti della Calabria emerse fin dal suo romanzo d’esordio, “Nord e Sud uniti nella lotta” che racconta il viaggio sull’Ardea degli operai genovesi per partecipare alla manifestazione dei metalmeccanici organizzata in seguito ai “moti di Reggio”, per protrarsi sino agli ultimi lavori, come “L’aiutante di S.B. il presidente operaio” dove Guerrazzi dedica pagine intere al razzismo nei confronti dei meridionali nelle fabbriche, condizione da lui stessa vissuta da tipico emigrante con “la valigia di cartone”.
Pur vivendo gran parte della sua vita a Genova, che volle gratificarlo scegliendo un suo quadro per rappresentare il 500° anniversario della scoperta dell’America ed ospitando nel 2005 la grande mostra “Verso il futuro. Dal presente agli anni ‘70” curata dalla figlia Marika e da Nuno da Silva Lopes, Guerrazzi anche nei dipinti vedeva la Calabria.
Nella ricca produzione di paesaggi, spicca la serie dedicata a “Le raccoglitrici di olive”.
Nella collezione, l’artista fa emergere il duro lavoro delle donne consumate dall’affanno e dalla stanchezza, fa trasudare la desolazione e la tristezza, mentre al contempo, spiccano i caldi colori della terra, l’armonia degli alberi di ulivo, i contrasti forti, in definitiva, dei paesaggi nostrani.
Una Calabria presente anche nei dipinti più visionari e simbolici. Come il “Traguardo”, dove sul podio appare in primo piano uno dei due bronzi di Riace e soprattutto “Festa Calabrese”, tripudio di allegorie positive e negative.
Si distinguono nettamente nel quadro, l’artista vestito da brigante mentre dipinge, Tommaso Campanella che discute con Giacomo Mancini e Pitagora che suona il piffero. Seduto sul tronco dell’ulivo leggendario c’è Garibaldi che osserva ironico la ragazza nuda che legge e vicino Talete. Non potevano mancare anche qui i bronzi di Riace, entrambi vestiti e uno in primo piano col bastone in mano e a fianco una cesta di pesci. Sullo sfondo, la cattedrale di Stilo e tutto intorno la natura morta, allegoria dell’abbondanza e delle speranze di rinascita della terra calabrese. Cosa in cui Guerrazzi credeva, consapevole però che è necessario “un profondo cambiamento di mentalità”, come dichiarò a Domenico Logozzo per “La Riviera”. La Calabria, intanto, piange la perdita di un uomo che con la sua arte poliedrica, eclettica e libera ha portato alto il suo nome.