Gli elefanti di Metello e il ponte sullo Stretto

Tra avveniristici progetti, fantasiose ipotesi (... e promesse elettorali), l'idea di un ponte sullo Stretto risale alla notte dei tempi e si narra che solo i Romani vi riuscirono...

Elefanti di Annibale che attraversano il Rodano

Quella del ponte sullo Stretto è una storia che risale alla notte dei tempi: antiche cronache, miti e leggende raccontano di idee e progetti stravaganti e stravolgenti pur di realizzare un collegamento stabile tra le due sponde del mare Nostrum.

Se ne parla e se ne scrive dall’epoca di Carlo Magno, quando l’imperatore, giunto sulle rive reggine, non potè non notare quanto la Sicilia fosse vicina e si propose di unire le due coste con una serie di ponti, alla costruzione dei quali avrebbero dovuto contribuire tutti i popoli del Sacro Romano Impero.

L’idea fu poi ripresa dai Normanni. Roberto il Guiscardo, Ruggero II e, persino, Riccardo Cuor di Leone, avviarono esplorazioni nello Stretto per studiare la fattibilità della realizzazione di un ponte.

Più vicino ai giorni nostri, ci pensarono i ministri dall’Italia unita fino alla vigilia delle guerre mondiali, proponendo svariate e fantasiose ipotesi: gallerie sottomarine, ponti sospesi, tunnel sommersi o galleggianti, zattere, e, finanche la tesi dell’istmo e il famoso ponte di Archimede. 

Ma, secondo le leggende (in realtà la tesi deriva da alcuni frammenti di Strabone e Plinio il Vecchio ma la sua attendibilità è discussa), il primo a pensarci ed a realizzarlo fu senza dubbio il console Lucio Cecilio Metello, insignito in seguito della più alta carica religiosa romana, quella di pontefice massimo, che, guarda caso, significa ‘colui che fa il ponte’. 

Si narra che, durante le guerre puniche, intorno al 250 a.C., il console, vincitore su Asdrubale nella battaglia di Palermo, si ritrovò il problema di dover trasferire nel continente l’immenso bottino conquistato e gli oltre 100 elefanti catturati ai Cartaginesi venuti dall’Africa.

Ordinò, quindi, di costruire una passerella galleggiante formata da centinaia di botti legate tra loro e sovrastate da tavole di legno ricoperte e munite di robusti parapetti per trasbordare i pachidermi e il carico prezioso dalla Sicilia.

Così, grazie al primo rudimentale ponte sullo Stretto, il bottino di guerra giunse, sano e salvo, sulla sponda reggina per poi essere trasportato a Roma.

Quanto agli elefanti, sopravvissuti al collegamento provvisorio, sembra, purtroppo, abbiano fatto una triste fine: mandati allo sbaraglio nell’arena del Circo Massimo furono uccisi a colpi di giavellotto perché i romani non sapevano che farsene.

Così la leggenda. Se il ponte unì davvero Messina e Reggio, come sostenevano Strabone e Plinio, infatti, non lo sapremo mai.

Una cosa è certa: per ora, e per fortuna, lo Stretto rimane solo in balia delle sue correnti, della fata Morgana e di Scilla e Cariddi.

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