Giovanna Spatari, prima rettrice del Sud: “La mia università è donna”

L'intervista alla prima donna al timone di un ateneo del Sud, Giovanna Spatari. Medico del lavoro, con un lungo percorso nelle pari opportunità, la magnifica rettrice dell'Università di Messina si racconta

Era il 28 novembre 2023 quando Giovanna Spatari è stata eletta rettrice, segnando una svolta epocale: per la prima volta una donna al timone di un ateneo del Sud, l’università di Messina.

Un cambio di passo notevole, che in meno di un lustro ha visto raddoppiare il numero, seppur ancora esiguo, delle “donne con l’ermellino”, portando una rettrice (Antonella Polimeni di origini reggine) persino alla Sapienza dopo ben 700 anni di storia e da ultimo alla Cattolica (Elena Beccalli), facendo salire così a dodici le “magnifiche” d’Italia. 

Ordinaria di medicina del lavoro, con un un lungo percorso nelle pari opportunità, negli studi sulla violenza di genere e la salute delle donne nei luoghi di lavoro, con alle spalle oltre 120 pubblicazioni scientifiche, la Spatari ha un curriculum di tutto rispetto.

All’ateneo ha giurato impegno e dedizione per il suo sessennio, definendosi la rettrice del dialogo, pronta ad affrontare le sfide che si presenteranno e a raggiungere i massimi obiettivi possibili, sempre nel nome e per conto degli studenti, per i quali ha sempre dichiarato che bisogna spendere tutte le energie.

Per far sì che l’università sia sempre più al passo coi tempi, muovendosi in sinergia con il territorio nell’ottica della “restanza“, a

ffinché i giovani non siano costretti ad andare altrove per costruire il loro futuro ma possano rimanere nella propria terra.

Caparbia, lungimirante e aperta al dialogo, Giovanna Spatari guiderà l’ateneo di Messina fino al 2029.

Cosa significa essere una donna rettrice al Sud? L’università è donna o è ancora presto per dirlo?

“Io partirei da un aspetto che ritengo positivo. Certamente se io sono rettrice, la prima rettrice di un ateneo del Sud, significa che una comunità accademica ha votato una rettrice di sesso femminile. La nomina di un rettore, infatti, è elettiva, quindi, vuol dire che è una comunità accademica che si è convinta prima di tutto di volere una donna.

Tra l’altro, una donna che proviene da un percorso formativo dedicato, nella propria università, agli ambiti delle pari opportunità, alla lotta alle discriminazioni, alle disuguaglianze, un percorso di grande attenzione insomma ai temi di di genere.

Per cui, credo sia un segnale che proprio perchè perviene da parte di una comunità, trattandosi di una carica elettiva, indica un profondo cambiamento”.

Un cambio di passo anche nel nome: rettrice al posto di rettore?

“Sul discorso della declinazione del termine lei ha centrato il problema, perché per la prima volta non viene neanche data all’ateneo la discrezionalità di dover scegliere come declinare gli atti o di come chiamare il suo rettore.

La ministra Bernini, infatti, nel decreto di nomina scrive proprio che sono nominata rettrice. Questo automaticamente comporta che tutti gli atti amministrativi debbano essere declinati al femminile con l’indicazione di rettrice, definita e stabilita senza lasciare spazio a valutazioni discrezionali”.

Con buona pace del decreto della Lega sui nomi femminili che, per fortuna, è stato ritirato…

“Assolutamente sì. Se poi lei pensa che per la prima volta in un ateneo del Sud, dopo una lunga storia, quando si fanno le proclamazioni, tutti i presidenti delle commissioni di laurea dicono ‘per i poteri conferiti dalla magnifica rettrice’, è davvero una svolta epocale”.

Lei ha dedicato la sua vittoria ad Antonella Cocchiara e ad Angela Bottari, perché?

“Perchè l’incontro con Antonella Cocchiara negli anni 2000, quando io avevo già il mio percorso definito nell’ambito della medicina del lavoro, mi ha fatto avvicinare ai temi delle pari opportunità e, quindi, a considerare i problemi tenendo conto in modo prepotente dell’ottica di genere.

Angela Bottari, perché è stata una deputata molto attiva, prima firmataria della legge per l’abrogazione del delitto d’onore, che ha con grande generosità messo a disposizione le sue competenze nell’ambito delle pari opportunità anche nel nostro Ateneo, non sottraendosi mai ad incontri e dibattiti.

Perchè vede, negli anni 2000 era necessario parlare, per diffondere una cultura di uguaglianza, in quella fase erano argomenti veramente ostici e non era affatto scontato che nelle aule magne degli atenei venissero affrontati temi di questo tipo. Queste due donne sono state importantissime per l’incipit di quel passaggio culturale che ha portato una comunità accademica ad esprimere il voto nei confronti di una donna prima di altri atenei del Sud”.

Quali sono i cambiamenti da lei apportati nell’ateneo?

“Devo premettere che chiunque occupi il posto di rettore si trova di fronte ad un’attività molto complessa che va indirizzata su varie direttrici.

La prima per me, in ordine di priorità, è l’attenzione agli studenti, che sono centrali nella dinamica dell’azione del governo universitario. Un’università è significativa se ha molti studenti e se ha capacità di attrarre i giovani, con la variabile nel Mezzogiorno che è ancora più complicato mantenere i giovani qui al Sud perché, come lei ben sa, c’è un fenomeno di allontanamento, dovuto a vari fattori, tra cui sicuramente la maggiore difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro. Un altro fattore rilevante è questa nuova realtà degli atenei telematici che è in crescita esponenziale. Quindi, la difficoltà di mantenere i giovani vicini al territorio è la più grossa scommessa che un rettore insieme alla comunità accademica debba affrontare.

Naturalmente se giovani vanno via giovani entrano, e questa è una cifra del nostro ateneo perché noi abbiamo un discreto numero di studenti universitari. Quindi anche questo aspetto cerchiamo di curare, di potenziare, offrendo una serie di servizi anche che possano favorire l’avvicinamento degli studenti sia in termini di offerta didattica, come ad esempio l’apertura di ulteriori corsi in lingua inglese, sia in termini di servizi. Questo è un ambito su cui io sto focalizzando molto la mia attenzione”.

Su quali altre direttrici si sta muovendo?

Oltre al benessere degli studenti, sicuramente centrale è anche quello dei docenti. Devo dire che i nostri docenti sono molto motivati. Su questo fronte ho grandi soddisfazioni e feedback positivi perchè c’è un corpo accademico assolutamente centrato sulle attività didattiche di ricerca ma anche di apertura al territorio. Quest’ultimo infatti, è un altro aspetto essenziale. Soprattutto negli atenei che sono in contesti come quello di Messina, dove non ci sono complessi industriali importanti, le università sono particolarmente rilevanti, un punto di riferimento per tutto il territorio, quindi cresce l’impegno anche in termini di sinergie con le imprese, che sicuramente aiutano i nostri giovani a rimanere sul territorio.

Altra direttrice essenziale è il benessere dei dipendenti, quindi particolare attenzione al personale tecnico-amministrativo che si trova sempre più coinvolto ad affrontare nuove sfide con un mondo del lavoro che cambia, con tutta una serie di attività che sono connesse al tema dell’internazionalizzazione, del PNRR. Sono consapevole della necessità di dover implementare numericamente il personale per rinforzare quello già esistente, perché la macchina amministrativa è cruciale rispetto a tutta una serie di dinamiche di questo specifico ruolo e su questo dovrò concentrare la mia attenzione nel prossimo futuro. Sono in corso ancora dei concorsi banditi dalla precedente amministrazione che siamo cercando di portare a termine. E spero che l’introduzione di nuove forze lavoro possa sgravare l’attività dei nostri dipendenti che si trova con una mole di attività molto più complessa e articolata rispetto al passato”.

Che valore ha l’università oggi e quale visione ha dell’ateneo di Messina nei prossimi anni?

“Io credo che l’università, oggi in un momento di grande delicatezza dei percorsi che affrontano i nostri giovani, abbia un valore culturale fondamentale, perché sulla qualità dell’università si gioca il futuro del paese, si gioca il futuro della prossima classe dirigente ma anche del tessuto sociale che questi giovani andranno a costituire.

È importante il senso di aggregazione, quindi l’essere comunità, vivere l’università aldilà che come luogo in cui viene erogata la formazione. Le università sono da sempre i luoghi che sviluppano il pensiero critico, i luoghi della circolazione del libero pensiero, i luoghi in cui, diciamo, viene sviluppato il senso di comunità che qualunque tipo di percorso che si basi su processi formativi – che possono anche essere di elevato livello per carità, ma – che prevedono un rapporto esclusivamente da remoto non potrà mai dare. Credo che questo sia un messaggio importante per i nostri giovani. Un’università da vivere, che offre servizi, iniziative di vario genere, compreso lo sport, elemento di aggregazione fondamentale. Noi abbiamo la Cittadella sportiva sulla quale in futuro intendo puntare sempre di più. E ancora, il tema dell’inclusione anche rispetto alle disabilità. Il fare comunità, insomma, attraverso attività che sono diverse da quelle formative, complementari ma dal mio punto di vista fondamentali”.

Quale futuro immagina per il suo ateneo?

“Un futuro di integrazione. Un futuro che vada nella direzione della lotta alle disuguaglianze, una lotta intesa come concorso di azioni che possano abbattere questi gap. Un’università sempre più calata nel territorio con un’offerta formativa che sia adeguata al mondo del lavoro che cambia ma anche ai profondi mutamenti sociali che viviamo”.

I reggini hanno viaggiato per anni per poter frequentare l’università a Messina, oggi cosa è cambiato? E quali sono i rapporti con l’ateneo di Reggio?

“Possiamo dire che sono delle università in qualche modo complementari perché ci sono stati sempre stretti rapporti con la città di Reggio. Negli anni in cui io andavo all’università, architettura si frequentava prevalentemente a Reggio e giurisprudenza a Messina. In qualche modo si è mantenuta questa complementarietà. Molti dei nostri docenti, poi, sono reggini e vivono a Reggio. C’è una università che è strettamente connessa, dunque, al tessuto sociale, famiglie che lavorano all’università di Messina e che vivono a Reggio e viceversa. Quindi io immagino una sinergia, una condivisione di progetti, nell’ottica di fare rete e anche per l’obiettivo principale che ci accomuna che è quello di mantenere i giovani nella nostra terra. Un obiettivo, una scommessa, che ci potrà vedere sicuramente condividere dei progetti insieme”.

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