Galatro: terra di santi e di fate
La magia di Galatro, nella provincia reggina, si ripropone nelle sorgenti sulfuree delle sue terme, la cui storia si perde nella notte dei tempi, e nelle leggende che narrano di santi e di fate
In quel di Galatro, magica terra posta sulle ultime pendici terrazzate delle Serre calabre, in una bellissima e incontaminata valle, circondata dai boschi, tra i fiumi Metramo e Fermano ed irrigata dalle acque sulfuree delle sue terme, a uguale distanza dal Tirreno e dallo Ionio, nella provincia reggina, si tramandano antiche leggende su santi e fate.
San Nicola
La prima, in odor di santità, ha come protagonista il patrono, San Nicola. Si tramanda sin dal 1861 che sulla vecchia strada che conduce all’antico stabilimento termale, intorno alla metà dell’Ottocento esistesse un frantoio. Proprio nell’anno dell’unità d’Italia, all’approssimarsi della festa di San Nicola, alcuni operai chiesero che il giorno 6 dicembre, in onore del santo patrono, non si lavorasse. Altri, invece, si opposero, sostenendo che il frantoio era situato fuori dal territorio della parrocchia. Fu fissata una riunione, alla fine della quale si decise che anche il giorno del santo bisognava lavorare.
Così, il 6 dicembre, come tutti gli altri giorni, gli operai si presentarono sul posto di lavoro. Ma, messi in azione i macchinari, questi non ne vollero sapere di funzionare. A nulla valsero gli interventi di tecnici e specialisti e fu chiamato l’arciprete della parrocchia, il quale si recò subito al frantoio e, con l’aiuto del sagrestano, benedì i macchinari.
Con grande sorpresa, dopo la benedizione, i macchinari ricominciarono a funzionare come se nulla fosse successo. Tutti compresero allora che San Nicola, per la sua festa, desiderava che non si lavorasse, per cui il frantoio fu chiuso. L’arciprete, gridando al miracolo, tenne una sentita orazione nella chiesa matrice e la testimonianza del prodigio fu tramandata sino ai nostri giorni.
Contrada Petra
A Galatro si perpetua un’altra antica leggenda, sulle magiche creature del piccolo popolo.
Si narra che in tempi antichissimi, nella contrada chiamata Petra, nella cavità di un’alta e grossa roccia, immersa in un bosco di fitti ontani che non lasciano trapelare neanche il più ostinato raggio di sole, trovassero dimora delle fate molto potenti. Ogni mezzodì, queste uscivano dal nascondiglio, dove erano imprigionate da millenni e cominciavano a danzare tutt’intorno creando un’atmosfera incantata. Tra gli abitanti del luogo correva voce che chiunque avesse avuto la ventura di passare di là in quel preciso momento avrebbe avuto fortuna e ricchezze per tutta la vita.
Così, in molti decisero di avventurarsi in quel bosco, senza riuscire, però, ad ottenere alcunché, perché le fate non sempre si facevano vedere e alla gente scettica o cattiva facevano tremendi dispetti. Si racconta, infatti, che a qualche contadino impertinente trasformarono il grano in carbone e ai pastori impudenti gli animali in pietre e il latte in acqua sporca, mentre a quelli buoni garantivano abbondanti raccolti ed un’ottima ricotta. Un giorno cambiarono la vita ad una giovane e onesta donna del paese che viveva in una misera capanna di legno nella valle di Galatro. La poveretta, rimasta vedova troppo presto e con tante bocche da sfamare, si ingegnava in ogni modo per riuscire a tirare avanti e tutti i giorni doveva combattere con lo spettro della fame. Per di più, l’unica gallina che possedeva era diventata chioccia e stava covando ben ventuno pulcini, e, perciò non c’era neanche un uovo da far bere ai propri bambini. Così, una mattina presto, al levar del sole, in preda alla disperazione più nera, si lasciò alle spalle la capanna e s’avviò verso la china dei monti in cerca di qualche erba selvatica e commestibile da dare ai suoi piccoli.
La pietra delle Fate
La donna procedette per ore lungo le rive del Metramo e, giunta in contrada Petra, proprio di fronte alla famosa Pietra delle Fate, stanca per il tanto camminare, si mise a sedere su un grosso masso cadendo in un sonno profondo, mentre il sole alto nel cielo segnava che era quasi mezzogiorno.
Di colpo, il vento agitò gli alberi, una magica musica si diffuse nel bosco e un bellissimo castello d’oro apparve nel bel mezzo del torrente, mentre da un inatteso arcobaleno nel cielo meravigliose fate scesero sulla terra cominciando a danzare intorno a lei. La giovane si svegliò di soprassalto, ma guardandosi intorno vide che tutto era come prima e con le poche erbe che aveva raccolto si avviò verso casa. Quando giunse davanti alla sua capanna, non credette ai propri occhi. La casetta era diventata un lussuoso palazzo, arredato di tutto punto e con la servitù al completo e, persino, la chioccia con i suoi ventuno pulcini era diventata tutta d’oro. La donna abbracciò i suoi bambini e in cuor suo ringraziò le meravigliose creature che avevano cambiato la sua vita.
Oggi il tempo ha inghiottito l’apertura della caverna, le ampie spaccature della roccia sono ricoperte di soffice muschio e d’erba selvatica, ma la Pietra delle Fate è sempre lì, quasi a guardia di Galatro, e nel grande incanto della vegetazione, tra il fruscio degli alberi e il canto degli uccelli, chissà se le capricciose fate giocano con la loro magia e la chioccia con i pulcini d’oro esce dal suo nascondiglio, mentre tutto intorno il bosco prende vita.
Certo è che la sensibilità popolare continua a mettere sulle labbra dei Galatresi, grandi e piccini, la loro storia. E molti ancora la credono vera.