C’eravamo tanto amati: Frida, la Setter con l’anima
La storia della cagnolina Frida, Setter Gordon Nera della famiglia di Nino che, nel rione Ferrovieri, era una vera celebrità, e di cui 70 anni dopo ancora si parla
Frida era una cagnolina di razza Setter Gordon nera con poche striature biancastre, gli occhi vispi delle monelle e la vitalità prorompente della sua specie. Leggera e agile, prodigiosamente intelligente, era appassionata del gioco più che della caccia, per la quale era stata acquistata da Nino, appassionato di quaglie e beccacce e volatili vari cucinati abilmente dalla moglie Maria.
Nel rione Ferrovieri Frida era una celebrità. L’amica di tutti i bambini e i ragazzi. La cocca delle vecchiette che passavano i giorni sedute sull’uscio delle case. Le sue corse dietro un pallone, la sua disponibilità al gioco, il suo entusiasmo, l’avevano resa cara e familiare a tutti i residenti.
Tra il ponte Calopinace e il rione Pescatori scorrazzava libera e non c’era uno che non la conoscesse. Era viziata e coccolata da tutti, ma la sua famiglia era quella di Nino.
Bastava un fischio e lei come un missile tornava a casa.
Sul finire degli anni ’50, l’Italia era in ripresa ma ancora povera, e il rapporto con gli animali ben diverso dall’attuale; caccia e pesca più che hobby costituivano una buona dose d’integrazione ai pasti quotidiani. Nino aveva un’ottima mira e con il suo calibro 16 faceva incetta di prede. Un giorno di particolare fortuna tornò a casa con un carico di 50 uccelli, tra tordi, tortore e quaglie. Non esistevano i congelatori e allora invitarono a cena tutti i parenti, che portarono vino e paste.
Frida tutta soddisfatta partecipava alla vita di famiglia, subendo gli scherzi e i lazzi dei più giovani, ricambiando però con gli interessi. Il suo nome era stato scelto per oscuri motivi da Nino, uomo di poche parole. Lei era obbediente ma, come tutti i Setter, piena di vitalità.
I cani si nutrivano dei resti dei pranzi. Altro che bocconcini in scatola costosi quanto il caviale.
Frida gustava la pasta col pomodoro, le ossa dei volatili e il riso in bianco, ma un giorno Gianni, uno dei figli, scoprì che impazziva per le pesche sciroppate, prelibatezza dell’epoca. Di nascosto dalla mamma, la domenica, ne sacrificava un paio dandole alla cagnetta, sempre più innamorata dei ragazzi di casa.
Con il tempo questa sua passione diventò famosa: non appena vedeva i contenitori di metallo delle pesche, iniziava a fare la matta con salti, guaiti e felicità trasbordante. Ma mamma Maria era severa, e non voleva. Le economie ridotte della famiglia giustificano il suo rigore. Così i giovani si privavano (di nascosto) delle loro zuccherose pesche per darle all’appassionata cagnetta.
Nino, fucile in spalla, andava a caccia con il treno. Si usava così. Era ferroviere e lavorava al deposito di Via Mercalli. Riparava locomotori. Ma sapeva fare tutto, come quei grandi uomini del secolo passato. Valente pescatore e cacciatore, era stato anche barbiere, capomastro, servente d’artiglieria, fabbro, giocatore di calcio e poi allenatore e dozzine di altre cose ancora.
Si preparava le cartucce agendo con strane macchinette e bilancino di precisione. Quando lo faceva Frida si accomodava sulla sedia accanto, lui di tanto in tanto le rivolgeva qualche parola, e la cagnetta scodinzolava: sapeva che il giorno dopo sarebbero andati in campagna, dove si esprimeva il massimo valore della sua razza. Era capace di “sentire” una quaglia da molto distante. La puntava diventando una statua.
Quando era di buon umore, Frida era un fenomenale cane da caccia.
Ma quando il suo umore diventava troppo buono, specialmente in Estate, prevaleva la sua giocosità. E allora sembrava quasi che corresse ad avvertire gli uccelli, facendo arrabbiare terribilmente Nino.
Infatti ogni tanto litigavano. Un giorno che gli fece perdere una beccaccia grossa quanto una gallina, Nino gli puntò il fucile contro minacciando di spararla. Lei si offese, e quando tornarono a casa col treno, scappò dal guinzaglio e andò a rifugiarsi sotto il suo divano preferito.
Frida faceva ridere tutti, colmava la famiglia di tenera allegria. Non appena suonava la sirena d’uscita del deposito, lei correva e andava incontro a Nino, reduce dal lavoro.
Gianni tornava da scuola, e lei lo aspettava in via Galilei.
Tutti le parlavano come si parla ad una persona. Lei capiva. Non era addestrata: capiva.
Quando mamma Maria si ammalò non si mosse dalla porta della camera da letto per due giorni. Si alzava solo per far entrare il medico, che guardava con occhi supplici.
La malattia ebbe delle complicazioni, e la famiglia entrò in un periodo brutto. Si dovettero fare viaggi in città lontane, non ci furono giorni per la caccia, i soldi erano quelli che erano, il tempo per la cagnetta si ridusse enormemente e lei languiva dentro casa; allora Nino con una decisione che spezzò il cuore dei ragazzi (ed anche il suo) decise di donare Frida ad un amico di Ferruzzano, dove sperava si sarebbe trovata bene, a contatto con la natura.
La portò un giorno triste d’inizio primavera, lei appena arrivata si scatenò giocando con gli altri cani, Nino approfittò e andò via, con l’umore nero, convinto di non rivederla più.
Dopo una settimana la famiglia era come se fosse a lutto. Avevano accettato la perdita, le esigenze erano troppo forti, ma il vuoto lasciato da Frida era incolmabile.
Alle prime luci dell’alba sentirono grattare alla porta. E poi guaire ed abbaiare. Fu un’incredibile commozione: Frida era tornata! Sporca come una porcella, ansimante e stanca, si trasformò, appena le aprirono, nel ritratto della felicità.
Saltava, si ruzzolava, abbracciava tutti, mordicchiava, guaiva, scodinzolava a velocità supersonica. E tutti gridavano il suo nome, abbracciandola, stringendola, accarezzandole il muso che sembrava un sorriso.
Era scappata via da Ferruzzano il giorno prima, come ricostruì poi Nino con l’amico a cui l’aveva affidata. Aveva probabilmente seguito i binari e poi a Melito, riconosciuta da un collega, era salita in treno fino a Reggio. Alla stazione era saltata letteralmente a terra e come un razzo si era diretta a casa sua.
Che festa quel giorno! Frida che saltava e correva come una pazza, i ragazzi dietro lei, Nino finto burbero con i lucciconi agli occhi. Abbracci, baci, poi un bel bagno ristoratore e infine Maria che aprì una scatola di pesche sciroppate e gliela versò per intero nel piatto. Frida le mangiò tutte con la coda che sbatteva a mille, e poi ricominciò a giocare, a leccare, mordicchiare e saltare per la casa.
Non se ne separarono mai più e ancora oggi la ricordano come una di famiglia, esclusiva fonte d’amore generoso, come soltanto i cani sanno essere.
Pronta a dare tutta se stessa, senza volere nulla in cambio, esempio illuminante per l’egoismo orrido della nostra specie.
Sono passati settant’anni, eppure di Frida se ne parla ancora.
Davvero una cagnetta toga, una cagnetta con l’anima.