Col buio me la vedo io: l’atto d’amore per Reggio di Anna Mallamo

Ieri pomeriggio nella sala dei Sindaci di palazzo San Giorgio la presentazione del romanzo della scrittrice “Strettese” edito da Einaudi

Anna Mallamo presentazione romanzo

Essere più cristallo o più carbone? L’uno cerca di diventare l’altro e viceversa. Più che una dicotomia, una complementarietà, una connessione, un’identità. Così è Lucia, ma così è anche Reggio. Entrambe protagoniste del romanzo di Anna Mallamo, “Col buio me la vedo io” (edito da Einaudi) presentato ieri nella sala dei Sindaci di palazzo San Giorgio, nell’ambito della sesta edizione del Balenando in Burrasca.

Un atto d’amore per Reggio

Il romanzo di una Strettese (parte attiva della CollettivA del libro “Stiamo Strette”) che è un atto d’amore nei confronti della propria città.

Protagonista è una ragazzina Lucia, che fa prigioniero un coetaneo, Rosario, per vendetta ma anche per giustizia, tentando “di riparare il mondo” come ha affermato la scrittrice Donatella Di Pietrantonio.

Sullo sfondo, nel buio, ma anche nella luce, c’è Reggio, la Reggio degli anni ’80, ferita dalla guerra di mafia, morta e risorta, immortale. Cristallo e carbone, appunto.

E oggi cosa farebbe Lucia? “Oggi Lucia starebbe sui social – ha dichiarato Anna Mallamo ai microfoni di Cult – forse sarebbe meno isolata e probabilmente non farebbe quello che ha fatto. Forse avrebbe più cose da dire e sarebbe più felice. Io non appartengo ai nostalgici che pensano che i tempi di prima erano meglio, probabilmente avevamo meno consapevolezza ed è vero che oggi i ragazzi hanno problemi enormi, ci sono troppi coltelli nelle loro mani, ma ci sono anche strumenti enormi per starci vicini. E credo che la letteratura possa essere la voce in grado di farli sentire meno soli, ma solo se collaboriamo tutti. E poi l’esposizione alla bellezza, perché il bello non è soltanto un’esperienza estetica, ma è un’esperienza etica”.

Falcomatà: “Un romanzo sul Sud che scava nell’intimità”

“Siamo felici e onorati che Anna Mallamo abbia deciso di realizzare la prima nazionale del libro non soltanto a Reggio ma qui nel palazzo di città che sta diventando sempre di più la casa della cultura, delle associazioni, dove si moltiplicano gli incontri culturali” ha affermato il sindaco Giuseppe Falcomatà durante i saluti istituzionali.

Spaziando poi sul romanzo, che “ha il pregio di intrecciare la storia dei protagonisti con quella della nostra città” il primo cittadino si è soffermato in particolare sul “mondo di sotto” descritto nel libro che fa saltare “molte delle certezze e delle linee di confine che solitamente demarcano la nostra società, come banalmente, la differenza tra buoni e cattivi, tra chi ha ragione e chi ha torto, tra chi sta dalla parte del giusto e chi no”.

Tra chi “pensa di incarnare la giustizia, la verità, la trasparenza e chi, invece, forse troppo superficialmente viene etichettato come l’anti giustizia, l’illegalità, la sopraffazione” senza porsi l’interrogativo “rispetto alla possibilità che chi si trova dalla parte sbagliata di questa linea di demarcazione, possa in qualche modo avere un percorso di redenzione o possa essere salvato”.

In una certa misura è l’idea che “più o meno inconsapevolmente, scatta nella testa della protagonista del romanzo quando compie questo gesto estremo, in una società che potrebbe essere quella di oggi, anche se ancora fortemente patriarcale, ma in cui la presenza della forza delle donne è in ogni pagina”. Donne che “sono spesso in guerra, anzi che sono sempre in guerra, anche tra loro – ha proseguito Falcomatà, e pur tuttavia – portatrici di storie, di simboli, di gesti, di racconti di vita”.

Il tutto condito da un linguaggio che “forse definire sperimentale è riduttivo, con la scelta di alternare l’italiano a un dialetto delicato e in qualche modo necessario, per dare un senso preciso ad una frase, al contesto, alla narrazione, perché ci sono delle parole nostre che sono intraducibili in italiano e che soltanto in dialetto possono rendere nel migliore dei modi” ha chiosato il sindaco. Per non parlare dei simboli, che “evocano scene di una quotidianità probabilmente perduta e che però fanno parte della storia di ognuno di noi, aiutandoci ad entrare in quella Reggio degli anni ’80, in cui le ragazze si dividevano tra il liceo, la via Marina e i morti ammazzati per strada”.

Un romanzo, “non di Reggio o del Sud ma sul Sud, che ha l’esigenza di andare oltre i panorami da cartolina o le scene patinate – ha concluso Falcomatà – trasmettendo una storia che appartiene alla memoria, scavando nei ricordi e anche nella nostra intimità”.

Una koinè nuova, la nostra

“Col buio me la vedo io” inventa una koinè nuova, la nostra. Con le parole che diventano scena, teatro. E la scena e il teatro che tornano parole. Grazie al sapiente intreccio di Katia Colica, Tiziana Bianca Calabrò ed Eleonora Scrivo che hanno raccontato e interpretato a modo loro le parole del libro.

“In questa sezione letteratura del Balenando, che nasce come festival multidisciplinare, abbiamo ancora una volta contaminato le arti, cercando di parlare non solo con le parole scritte di Anna ma di accogliere questa presentazione anche con gesti, oggetti di scena e chiedendo l’ausilio del pubblico, invitato ad esprimere le proprie emozioni, scrivendo in un bigliettino da depositare in un’urna ‘cosa si è rotto nella loro vita come il cristallo e cosa ancora brucia e resiste come il carbone’” ha dichiarato Katia Colica, scrittrice e direttrice artistica del Balenando in burrasca.

Sempre il cristallo e il carbone, ricorrenti nel romanzo che rappresenta un “omaggio inusuale e originalissimo di Anna Mallamo alla città di Reggio, ripercorrendone la storia e i luoghi e ridisegnandone la fisionomia e la topografia, in uno scambio continuo tra la superficie e la terra che sta sotto, tramite lo sguardo innamorato di una ragazza che attraversa gli anni ‘80” ha aggiunto Eleonora Scrivo.

“Un libro straordinario che inventa un linguaggio nostro, che ci appartiene e che diventa letteratura pura, per la lingua, per la costruzione architettonica, per l’esplosione di storia, fantasia, che fanno emerge il realismo calabro di Anna, la quale, attraverso i suoi occhi ci fa riscoprire, rivedere, dal ventre, la nostra città” ha proseguito Tiziana Bianca Calabrò.

Un linguaggio “lontano da questo italiano sintetico e semplificato che purtroppo è sempre più diffuso, contaminato dal dialetto che è appartenenza, emozione. Lingua del cuore. Del resto, tutti noi siamo incroci di tante lingue. Le mie protagoniste cantano in un inglese maccheronico, studiano il greco, parlano il francese. Un impasto linguistico che è ricchezza. Una ricchezza – ha concluso la Mallamo – alla quale ho cercato di dare vita nel romanzo”.

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