“C’ero una volta”: dalla ‘ndrangheta si esce vivi, la storia del calciatore-padrino

Presentato nella sala conferenze di Confindustria il libro di Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli a cura dell’associazione Biesse sulla vera storia del pentito Antonino Belnome

C'ero una volta Biesse

Si può uscire vivi dalla ‘ndrangheta. Come Belnome, il calciatore-padrino. Che non è un pentito ma si è pentito. Questo il messaggio di fondo su cui ruota il libro C’ero una volta dei giornalisti Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli presentato mercoledì a Reggio Calabria nella sala conferenze di Confindustria a cura dell’associazione Biesse.

Una testimonianza autentica e sconvolgente

Una vita, molte vite quelle di Antonino Belnome, uno dei più importanti collaboratori di giustizia della ‘ndrangheta, che ha gettato luce sui meccanismi segreti, sui riti e che da calciatore è diventato boss e poi pentito, scegliendo di collaborare con la giustizia. “C’eravamo già occupati di lui nel nostro precedente romanzo ‘Crimine Infinito’ del 2021 e avevamo fatto la scelta di non inserire il suo vero nome. Poi è stato lui stesso a contattarci perché avvertiva l’esigenza di raccontare la sua storia in prima persona – ha spiegato Fulvio Benelli ai microfoni di CULT. 

Da lì è nata un’interlocuzione con la procura di Milano e il servizio protezione testimoni che ha consentito ai due autori di poterlo incontrare. “Perché lui oggi vive sotto falso nome, in una località protetta. Così, abbiamo fatto questa due giorni di intervista, 16 ore di materiale che abbiamo trasposto su carta, scomparendo di fatto. Perché il libro è un lungo memoriale, una lunga confessione di Belnome che parla in prima persona e racconta tutta la sua vita, le sue molte vite” ha proseguito Benelli. Oggi Antonino Belnome, infatti, “ha 52 anni e ha vissuto già tre o quattro vite, dal bambino immerso nelle faide di ‘ndrangheta al calciatore a Catania. Dall’imprenditore al sicario e poi boss in Lombardia, sino al pentimento e alla nuova vita. Un percorso di continue cadute e di redenzione, eccezionale e universale, che abbiamo voluto raccontare, dando voce alla sua esigenza di parlare ai giovani, di metterli sull’attenti, di dimostrare loro che non è tutta rose e fiori la strada della ‘ndrangheta” ha concluso Benelli.

Un monito per le nuove generazioni

Proprio ai giovani, infatti, Belnome lancia il suo monito e fornisce un grande contributo. “Il contributo che Antonino Belnome ha dato alla giustizia è partito da una grande forma di onestà. Perché come viene detto nel libro, lui non è un pentito, si è pentito.  Molto probabilmente avrebbero potuto imputargli con un processo indiziario l’omicidio di Nuzzo Novella che era colui che voleva staccare la ‘ndrangheta lombarda da quella calabrese, dalla mamma, sostanzialmente. E Belnome compie quest’omicidio che sembrava impossibile e che lo porta a scalare rapidamente tutti tutti i gradini fino a entrare nella Santa. Ma lui cosa ha fatto? Ha detto, no, attenzione, ho ucciso anche delle altre persone, confessando cose delle quali la procura non aveva notizia e dimostrando di essere realmente pentito. Ha spiegato bene i rituali, i moventi, ha dato un contributo fondamentale, portando a circa una trentina di condanne per omicidio, per omicidi di cui non si sapeva nulla” ha aggiunto Cristiano Barbarossa. 

Ma soprattutto, pentendosi, che nella ‘ndrangheta equivale a tradire la propria famiglia, “ha dato un grande contributo alle nuove generazioni.  Sappiamo che la ‘ndrangheta, purtroppo, si eredita e lui invece ci tiene a dire che questo potere è totalmente illusorio. Un potere malato che alla fine ti porta in galera o ad essere ucciso. Quindi anche se uno lo facesse per semplice calcolo, sarebbe un errore. Per quello ha voluto raccontare la sua vita, il tentativo di emancipazione attraverso il calcio” ha chiosato Barbarossa. “Ha parlato degli incontri con Lothar Matthäus, Moreno Torricelli, ma anche, sempre attraverso il calcio, con Michael Schumacher. Il calcio è stato un aspetto importante della sua vita, un sogno che ha fatto da contraltare e che fino a un certo punto è riuscito a realizzarsi. Poi le dinamiche della famiglia lo hanno nuovamente inglobato, risucchiato” ha concluso Barbarossa.

Siviglia: “Un inno alla speranza”

“Questa nuova iniziativa targata Biesse rientra perfettamente in quello che è il nostro percorso nonchè il principale baluardo associativo, che è quello appunto della legalità, della giustizia, ma anche della solidarietà, dell’inclusione e dell’impegno sociale” ha affermato la presidente nazionale e fondatrice dell’associazione culturale Biesse, Bruna Siviglia.

“Per me oggi è un piacere e un onore avere ospiti qui a Reggio Calabria, Benelli e Barbarossa a presentare in esclusiva proprio per l’associazione il loro libro, ad oggi, presentato solo in Senato a Roma” ha aggiunto la Siviglia, ricordando che i due autori sono già stati ospiti di Biesse in occasione della presentazione del libro “Crimine infinito”.

Soffermandosi sull’opera, la presidente ha rammentato che “si tratta di un libro che narra una storia di vita vera, che affronta tematiche di cui noi parliamo quotidianamente ai ragazzi, attraverso il progetto ‘Giustizia e Umanità – Liberi di scegliere’. Per cui, anche attraverso quest’opera continuiamo a perseverare nella divulgazione di questi valori importanti, per infondere la speranza che nessuna vita è ineluttabile, che anche chi si ritrova come il calciatore-padrino non è condannato a vivere per sempre in una realtà malavitosa”. Lui si è pentito “e dunque se ne può uscire. E’ un inno alla speranza, anche per chi come lui ha ereditato un destino che li ha portati a delinquere, a vivere nell’illegalità. Ma che poi, attraverso il pentimento, può fare una scelta differente. Una scelta – ha concluso la Siviglia – che sicuramente ti rende migliore, che non ti fa più vivere nella paura. Perché delinquere non porta a nulla di buono se non alla detenzione o a morire ammazzato”.

La libertà di scegliere

Dopo i saluti della presidente Siviglia, l’intervento dell’editore e presidente del Conservatorio Cilea, Edoardo Lamberti Castronuovo che ha puntato il dito sulla necessità di usare la cultura “quale unica arma contro la malavita”, vincendo “l’assuefazione che impera e ritrovando l’orgoglio che abbiamo perso”.

L’incontro è stato moderato dal giornalista Ansa Giorgio Neri che ha dialogato con entrambi gli autori partendo proprio dal lavoro di inchiesta svolto dagli stessi e dalla frase emblematica contenuta nel libro: “Belnome non è un pentito ma si è pentito”.

Tutto ruota intorno a questo, alla svolta ben precisa di un uomo dal destino segnato, che ha deciso di scegliere da che parte stare, dimostrando ancora una volta che dalla ‘ndrangheta si può uscire. 

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