C’eravamo tanto amati: un Natale alla moda

Oggi le festività di fine anno cominciano appena finita l'estate. Il Natale è diventato una fiera della cafoneria ben lontano dallo spirito di quando le feste significavano famiglia e bastava poco per gioire tutti insieme

La prima regola del Natale era “siate più buoni”, che sintetizzava, in modo efficace, i motivi autentici della festa, da sempre non soltanto religiosa – la nascita di Gesù è un formidabile spunto, per credenti, agnostici ed atei – ma anche e soprattutto festa sociale, intrisa di valori etici e morali.

Oggi le festività di fine anno cominciano subito dopo la fine dell’estate.

Ad ottobre già sfracassano i padiglioni auricolari i banditori di merce, e la costruzione dell’evento è nelle mani di aziende che, come è normale che sia, esistono esclusivamente per realizzare un profitto. Esattamente l’inverso del messaggio evangelico legato alla Natività, che ponendo Dio – Bene Supremo – tra gli uomini, propone un significato diverso da dare all’esistenza: amore, fratellanza e pace.

Tre parole usate soltanto dai comici e dagli speculatori della politica.

Il fascino del Natale – ormai artefatto – è diventato una fiera della cafoneria: il consumo prevale su ogni aspetto, l’apparenza regna sovrana, e di quella festa affettuosa, calda, odorosa di nonna e di crespelle, è rimasto soltanto il simulacro, sordo come una moneta falsa, sbiadito come un sepolcro imbiancato.

La festa è perenne, e si svolge quasi completamente fuori casa; le famiglie disgregate non hanno ragione di riunirsi, come in quelle superate confusioni di cinquanta anni addietro, quando le “tavolate” di cene e pranzi contavano decine di partecipanti, dalla bisnonna ottocentesca al nonno cavaliere di Vittorio Veneto fino al nipote capellone che per un giorno smetteva di contestare e ai pargoli che giocavano con i soldatini Atlantic e i trenini Lima.

Natale significava famiglia, anche a vent’anni quando ti fracassavi i maroni e volevi soltanto andare a ceddiare per il mondo: ma la tenerezza era comunque facile da ritrovare nel mondo delle sicurezze affettive, quelle dei genitori e dei parenti prossimi; zii e cugini rappresentavano la costellazione primaria, unita da solidarietà, sentimento e comprensione.

Il giocattolo, rotto dalla modernità, funzionava tra mille errori e anche tra qualche orrore: ne derivava una gioia quieta, entusiasmante per i bambini e rassicurante per gli adulti.

La gioia del Natale oggi è stereotipata, identica ad altre gioie festaiole e ridanciane: Natale o Ferragosto, l’importante è bisbocciare, svolazzando leggeri negli abiti firmati, sorseggiando liquorini di qualità, degustando panettoni artigianali da centoventi euro al pezzo, e imbucandosi in ogni genere di eventi, da quelli degli illusi adoratori dell’Idolo delle Origini (zampogne, pane caldo, vino locale e tamburelli) a quelli dei Modaioli Rampanti (Balli, Spritz, apericene con crespelle scomposte, scarpe tacco dodici e camicie slim). L’importante è gioire, cantava Mina, ed oggi la vita è soprattutto una ricerca del godimento, spacciato per felicità, rigorosamente individuale.

La materia ha trionfato sullo spirito, in barba ad ogni apparenza, e il Natale è diventato la festa più atea che esista: la perdita dell’illusione collettiva (Dio tra gli uomini) è una frattura netta – e mai più componibile – con i millenni precedenti: L’Essere Umano è da solo, nel buio agghiacciante di una notte epocale, inconsapevole e istupidito, e vaga senza meta, dimentico dei suoi simili.

Gli unici a credere ancora nel Natale della Bontà e dell’Amore sono i bambini. Nella loro sospensione dell’incredulità, che per gli adulti è solo motivo di scherno, si riassumono quei concetti meravigliosi espressi dai Vangeli. I bambini sanno amare istintivamente, i bambini confidano negli altri, in tutti gli altri, e sanno gioire con pochissimo, non c’è bisogno d’imbottirli di regali.

Esattamente l’inverso di ciò che ci propone la società dei consumi.

Credere nella nascita di un bambino-Dio ha forgiato una civiltà che – aldilà dei massacri compiuti in suo nome, tradendolo – è durata millenni, portando benefici inimmaginabili, e che oggi fa dell’antioccidentalismo un motivo (assai modaiolo) d’orgoglio.

Eppure, a crederci o no è uguale, l’immagine di una stalla gelida, illuminata da una stella anomala, con un neonato scaldato dal fiato di due umilissime bestie, è ancora messaggio potente di speranza, di desiderio di giustizia, di amore per la vita e per la ricerca di un significato.

Lo spirito del Natale si è dissolto, e ci dissolveremo anche noi che, ingenui, abbiamo creduto in lui.

La Stuppa è finita, gente, e la Tombola prosegue in streaming, seguitela su Tik-tok o sul profilo Instagram che già si è aggiudicato l’esclusiva per le foto del pargolo, in un evento sponsorizzato dal nuovo modernissimo cellulare, che, schiacciando un tasto, ti porterà direttamente nella Betlemme di allora (in quella odierna meglio di no).

A seguire la Festa Danzante dei Pastori, con Mojito incluso, e che l’allegria sia con voi.

Nei secoli dei secoli.

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