C’eravamo tanto amati: spalline, schedine e juke-box
I flipper, le "Pagine gialle", i telefoni coi "lucchetti" rigorosamente sabotati, le mitiche spalline e il Totocalcio: oggetti e riti che sembravano eterni e che oggi sono solo un ricordo
Sono anche gli oggetti di uso comune a tracciare le linee della storia, oggetti che sembravano eterni ed invece sono ormai scomparsi, spesso dimenticati, svaporati come miraggi, e quando ti tornano in mente riesumano la gioventù, e la sua meravigliosa idiozia ingenua.
Dai flipper – tre palline cinquanta lire – ai telefoni pubblici: quelli a scatti, e poi a gettone, cento e duecento lire, fino a quelli con le modernissime schede telefoniche, che si collezionavano come figurine Panini. Nei bar c’era spesso il Juke-box, una canzone cinquanta lire come il flipper, tre brani cento lire, accanto ai primi mastodontici video-game Space-Invaders, i suoni da fantascienza stile UFO o Spazio 1999 e i nerds ante litteram che monopolizzavano lo spasso stabilendo record che ancora resistono, cinquant’anni dopo. A Reggio la prima e più famosa sala giochi era all’Orchidea, che per un pezzo ebbe anche i tavoli da ping-pong: il mio amico Squik usciva di casa con la racchettina riposta nella sua custodia di pelle, convinto di essere un cinese, e ci passava i pomeriggi sfidando l’uno e l’altro (e vincendo, quasi sempre).
Per sapere un numero di telefono si consultava l’elenco telefonico, le “pagine bianche” per i privati e le “pagine gialle” per le aziende. Per le chiamate fuori città in origine si usava la “teleselezione”, cioè si chiamava un centralino che poi ti connetteva con i parenti emigrati a Cologno Monzese, e la loro voce era molto più lontana; dopo si cominciarono ad usare i prefissi, ma una interurbana costava mezzo stipendio così il disco del telefono veniva assicurato col lucchetto, che naturalmente tutti i bravi adolescenti dell’epoca sapevano come scassinare, lasciandolo dopo intonso, e il fatto veniva scoperto soltanto nella bolletta successiva. Quando ti facevi zito con una forestiera dovevi accendere un mutuo, e allora entravano in gioco tappine volanti, battipanni, cucchiai di legno, manici di scopa, a “currìa” e il sequestro dei dischi, massima crudeltà dell’epoca.
Si spedivano telegrammi, lettere e cartoline. L’emozione all’arrivo di una lettera era come quella delle poesie di Prevert, assai alla moda all’epoca. La lettera inoltre poteva contenere ciuffi di capelli, stampi di labbra col rossetto, e altri gadget simili. Le cartoline invece, col loro messaggio scoperto, erano in genere frettolose e anche spiritose. Però i tirchiazzi le usavano per raccontare gli ultimi mesi di vita, con una scrittura bisognosa della lente d’ingrandimento, fitta-fitta e che occupava gran parte dello spazio. Cuccagnisi, si chiamano questi elementi in calabrese moderno.
Il sabato si giocava la schedina del totocalcio, tutto un rito di 1,X e 2, sistemi, sistemi calibrati, sviluppati, condizionati. Poi giunsero i primi processori 286, e ti saluto pronostici studiati. I maschietti calzavano i temibili stivali camperos, che qualche matto usa ancora, le ragazze invece da metà anni ’80 impazzirono per le “spalline”, dei pezzi ovali di stoffa imbottiti di gomma piuma che si mettevano sotto le bretelle del reggiseno, trasformandole in novelle Rambo, Wonder Woman o replicanti di Blade-Runner. Una vecchia amica mi ha confidato che per lei le spalline erano come la coperta di Linus: le davano sicurezza. Come i camperos per gli uomini, probabilmente.
Ragazzi con indosso le cuffie del walkman (il “Gelosino”), con in tasca cassette e batterie stilo di ricambio passeggiavano per il corso dietro gli occhiali Lozza, gli occhiali colorati a specchio, gli occhiali Ray-Ban con la stanghetta dorata, lunga e curva abbondantemente dietro l’orecchio.
Era un mondo difficile, il mondo della carta-carbone, delle auto-radio estraibili, della miscela al due o al tre per cento e della tipa toga, con l’autoadesivo di Snoopy sul davanti della Vespa nera, che masticava Big-Babol gonfiando palloni enormi che ti faceva scoppiare in faccia, ridendo sguaiata, e quel botto nella memoria è il botto della gioventù perduta, esplosa proprio come un chewing-gum gusto fragola, mentre ti chiedevi come sarebbe lei senza quelle dannate spalline, che la facevano sembrare un’aliena.
Toga certamente, ed oggi certamente aliena, come tutti noi suoi coetanei, in questo mondo accelerato che quei dannati marziani dello Space-Invaders hanno conquistato – nonostante i nerds – e ancora non ce ne siamo accorti.