C’eravamo tanto amati: le feste in casa
Il sapore delle feste di un tempo, fatte di musica, luci, balli ... e ragazze (poche!) aspettando con ansia il primo set di "lenti"
Quando eri invitato ad una Festa “in casa”, non dormivi più da una settimana prima, o almeno impiegavi assai tempo ad addormentarti perché non vedevi l’ora arrivassero quei momenti di musica, di luci, di balli, ma soprattutto di ragazze o, meglio, di profumo di ragazze, perché il massimo che potevi permetterti era di annusarle che, per quei tempi, era già gran cosa.
Le Feste in casa erano spesso compleanni, buffi, sudati e rumorosi di quell’allegria isterica degli adolescenti.
Gli ormoni alla carica peggio del Settimo Cavalleria di Custer, la forza della gioventù, la curiosità estrema e quello scoprirsi sensibile alla musica oltre che al resto.
Partivano i Rolling o i Doors e ti sembrava di averla sempre conosciuta quella musica, poi certo furoreggiava la Disco, ed anche quel sound, che magari allora ai palati fini dispiaceva, trasmetteva invece vibrazioni arcaiche, che trasformavano gruppi d’innocui ragazzini in danzatori satanassi preistorici al ritmo dei Boney M.
Non c’erano mixer, quelli arrivarono dopo, tra un ballo e l’altro si doveva cambiare il disco, che spesso si risuonava: tutti – grondanti sudore – urlavano al tizio addetto allo stereo di selezione del Reader Digest’s :“rimettila – rimettila!”. E quello giù di nuovo, Donna Summer a manetta, I Feel Love, cantavamo, ed era sicuramente vero.
L’apice delle feste in casa era “La festa in terrazza”.
La Festa in terrazza – tra fine Maggio e Settembre – era il non plus ultra del sogno giovanile.
Intanto la terrazza era zona a parte, con meno controllo da parte dei matusa, come noi quattordicenni chiamavamo i boomers dell’epoca, e quindi l’erotismo e l’adolescenziale trasgressione facevano – giustamente, aggiungo – passi avanti.
Poi il tramonto a Reggio, e qui volano le imprecazioni, il tramonto a Reggio è una carogna per quanto è bello; una tela ogni sera da strappare al cielo e incorniciare. Reggio al tramonto a volte si trasforma in un sogno compiuto. Questa è forse la sua maledizione.
Dalle terrazze reggine si vede il mare, sempre. Azzurro e placido lui, mentre la Sicilia accende le sue lucette un po’ per volta, che si specchiano tutte contente.
La scia dell’aereo lassù in alto punta dritta verso il destino, mentre parte il primo set di lenti. Il lento era lo snodo cruciale della serata. Era il Graal della festa. Il tesoro dei pirati. La conquista del West. Tristano e Isotta, o anche Pippo e Clarabella.
Il lento era il riassunto di cinquemila anni di storia.
Nei bordi della terrazza si disponeva una fila di lampadine. I più scarsi (noi!) le dipingevano coi colori per l’effetto discoteca. In effetti eravamo in Via Mercalli, ma ci sentivamo come allo Studio 54. Quando erano già le 21,30 c’era qualche scassapalloni del palazzo che saliva a protestare. Gli stessi che pochi anni prima ci bucavano i palloni. Se uno rompe, rompe a vita, purtroppo. Qualche volta mandavano la polizia, o il cugino vigile.
Però si ballava forte.
Le ragazze, e questa è la parte triste della storia, a Reggio erano in media meno della metà dei maschietti, a volte erano un quarto; se nella festa non c’erano ragazze (quelle già fidanzate non contavano) la festa falliva, implodeva sul nulla.
Sei ragazzino, però se stanno suonando i Bee Gees “How deep is your love”, se nel cielo ci sono le prime stelle proprio come in quel film, se stai ballando con la ragazza che la notte non ti fa dormire da più di tre mesi, e se lei ti fa una carezza tenue, allora capisci, lo comprendi trasalendo, quanto bella potrà essere la vita.
E non lo scordi più.