C’eravamo tanto amati: il gioco delle ciappe

"Va ioca e ciappi" è un modo di dire che resiste a Reggio Calabria e che nasce dal gioco simile a quello delle bocce ma con le pietre molto praticato tra i Reggini. I più forti erano gli amici del rione Pescatori

gioco delle ciappe

A Reggio c’è un vecchio modo di dire che ancora resiste, nonostante la neolingua, e che viene usato per apostrofare qualcuno che tenta di fare qualcosa che in realtà non è capace di fare:” va ioca e ciappi”.

Effettivamente, sarebbe meglio per la comunità che tanti, anche nei posti di comando, si dedicassero a questa attività ludica, alla portata di chiunque, inoffensiva, divertente e facile da praticare.

Il gioco somiglia a quello delle bocce, solo che al posto delle sfere rotolanti si usano delle pietre lisce. Colpo d’occhio e dosaggio della forza sono le abilità richieste.

Quando ero giovane nel Rione il campo principale per il gioco delle Ciappe era la piazzetta del Sacro Cuore, con le aiuole incolte che fornivano il perfetto terreno di gioco (terra battuta).

Si tracciava un solco lungo un paio di metri e largo un centimetro, e via, si cominciava. In palio si mettevano le figurine dei calciatori Panini, quelle ripetute naturalmente, che erano scommesse anche in altri meno esaltanti giochi di azzardo, il trik-trak e il soffio.

Il valore delle suddette figurine era variabile, dipendeva molto dal tifo personale. Per esempio, io avevo un Boninsegna e un Facchetti e un Mazzola che, pur ripetuti, non mi sarei giocato per nulla al mondo (infatti poi classicamente finirono attaccate sul diario scolastico). In genere, comunque, gli “scudetti” con i loghi delle squadre valevano il doppio (quelli degli squadroni di serie A anche il triplo o il quadruplo), e quelle con le foto doppie dei calciatori di serie B la metà, le squadre di serie C un quarto, tranne la Reggina (dopo il 1974) che era considerata rara e poteva valere anche dieci pezzi.

Il “mercato” delle figurine oscillava settimana per settimana. Ricordo un Savoldi del Bologna il cui valore balzò alle stelle dopo una serie di partite in cui segnò gol a raffica. Sul mio primo album le figurine si incollavano con il vinavil, ma per risparmiare quasi tutti usavamo la colla di farina che si faceva in casa e che gonfiava l’album fino a renderlo un tomo di mezzo chilo. Dal 1972 le figurine diventarono autoadesive, e fu boom. Valide e bisvalide mi interessarono sempre poco, anche se alcuni le raccoglievano e poi ritiravano borsoni o cappellini. A me piaceva giocarmele, così torniamo alle Ciappe.

La prima volta raccolsi una pietra qualsiasi, larga e piatta. Grave errore, non fatelo, giocatori di ciappe di tutto il mondo.

La ciappa deve essere commisurata alla mano, alla forza, deve essere conosciuta come una di famiglia, soppesata in continuazione, bilanciata.

Le migliori si trovavano nei pressi del marmista del ponte Calopinace, nostro fornitore ufficiale.

Imparai a giocare, con tutte quelle regole che poi variavano da zona a zona, con la terminologia adeguata e colorita che purtroppo non riesco a ricordare. Se le ciappe finivano entrambe sulla linea si diceva in un modo, c’era poi una specie di bocciata che si nomava in un altro. Spesso i giocatori si mettevano d’accordo, e con questa tecnica (uno piazzava, l’altro cacciava le ciappe avversarie) si fregavano i gonzi (tipo me).

I più forti erano gli amici del rione Pescatori, talenti indiscussi. Le figurine costavano 5 lire a bustina, poi 10, poi 20, alla fine si arrivò a 50. Continuammo a giocare fino alle scuole superiori, quando poi prendemmo a recitare quella parte da teddy-boy che ci teneva lontano da figurine e soldatini (in compenso sviluppammo una certa passione per le bambole, ehm).

Però nonostante si usi il modo di dire “va ioca e ciappi” per significare “non sai fare niente”, giocare a ciappe in realtà è uno sport difficile e anche complesso per gli intelletti contemporanei, non adatto ai perdigiorno che probabilmente non sono buoni neanche per tirare pietre a mare.

Quest’estate ho trovato una buona ciappa, e me la porto dietro, in macchina, sempre: non si sa mai possa incontrare un altro sportivo come me.

Uno sport toco, anzi, lo giuro, tochissimo.

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