C’eravamo tanto amati: il galateo riggitano
Con un pizzico di sana ironia, questa domenica andiamo a scuola di "bon ton" riggitano a metà tra il galateo di Della Casa (bibbia del reggino medio) e la prosa aulica di Catullo
A Reggio ormai si vive di bon ton. Le gentilezze fioccano ovunque, è tutto uno svenevole e languido donarsi precedenze, auguri, complimenti. Il manuale del galateo di Della Casa è la Bibbia del reggino medio, sempre pronto ad esibire la squisita educazione, retaggio dei secoli di civiltà e benessere.
Urtare qualche maschio-alfa-riggitano sul corso Garibaldi conduce sempre a disquisizioni che spaziano da Kant ad Hegel, riassunte dalla celebre locuzione “Chi czz fai”, seguita dalla frase più ragionata “Ma non vardi avanti bestia”.
Partire con tre decimi di secondo di ritardo dal semaforo provoca, oltre agli strombazzamenti ispirati direttamente dal grande maestro Cilea, anche una salva di cordialissimi improperi, riguardanti l’albero genealogico e la prostituzione degli avi.
Con il nostro dialetto figurativo e poetico, il linguaggio s’innalza verso la prosa aulica di Catullo: tutti, donne comprese, anzi sempre più comprese, pronte a risposte da incanto.
Signorina raccolga quella carta. – Fatti i czzi tuoi, cogl..
Giovanotto, non si lasciano bottiglie di vetro per strada. – Ma va rumpiti u cl…
È tutto un fiorettare di strofe arcaiche, tutto un odiarsi con la calma serafica degli aguzzini.
Allora ci si deve difendere, così vedi innocenti madri o padri di famiglia che al volante diventano l’Ira di Dio, che nelle file tentano di scavalcare quelli davanti, che, con esplosiva prontezza e creatività, declinano l’ingiuria con la selvaggia naturalezza dei barbari.
Mi piacciono le gentilezze automobilistiche, con le repliche anche, tipo “curnutu e pecuru”, “a freccia ziccattila ‘nto cu…”, “nd’hai u stop butta…zza i to mamma”.
Così quando ti supera a destra la motoretta con la marmitta spanata tu, per stare al passo linguistico, gli urli dietro “chi mi ti squagghia na candila ‘nta ricchi” o anche “chi mi mini mura-mura”, e poi gli auguri migliori “mi resti ‘mbiddatu ‘nto guard-rail”, e le allusioni antropologiche “figghiu, niputi e proniputi di baldracchi”, “zimbiru e zangreu tu e to patri”.
Ma il top, il massimo della cortesia in salsa di bergamotto, l’apice del picaresco linguaggio reggino, comincia adesso, con l’approssimarsi del Natale e con la salmodiante routine degli auguri. “Auguri, carissimo dottore” “Auguri anche a lei, ingegnere! E poi “ma vafanculu a laurea ta ccattasti cu sannu tutti” e l’altro “ingegneri ri me cugghiuni”.
Oppure, tra donne “carissima, sempre più bella, auguri a te e famiglia! “Anche a te, cara amica mia” e poi “malanova propriu sta cessa aiva a ‘ncuntrari mi spasciai i festi” e l’altra “amica ru czzu, sta zoccula”.
Anche “Ma ti trovo dimagrita!” – “Si sto facendo la dieta chetogenica”, e poi “Focu, si fici na paddazza” e l’altra: “Sta ‘mbiriusa mi ietta picciu”.
Tra maschi si rischia sempre di arrivare alla sfida all’OK Corral, ma sono le donne le più feroci, quelle con i sorrisi tirati alla cavallina, da accademia dell’ipocrisia, da fiera del teatro campagnolo, tutte belle sdolcinate, ma feroci come mantidi, “ciao tesoro, non ci perdiamo ti raccomando” e poi “va iettiti a mari lassa mi bloccu u numeru” oppure “ti raccomando saluta tanto mamma tua” e di seguito “beddi su, mamma e figghia”.
Una città amorevole, in fondo, una città di amicizia, di fratellanza, d’amore, e di rispetto, manchicani, chi rispettu.