C’eravamo tanto amati: I misteri di Reggio Calabria
Eventi, fatti e personaggi reggini trasformati in leggende, tradizioni e favole da raccontare ... magari la sera quando si è predisposti al sogno
Una città con duemilaottocento anni di storia custodisce eventi, fatti, personaggi in quantità, i più dimenticati, persi nell’oblio, qualcuno ancora rammentato da irriducibili storici, altri ancora trasformati in leggende, tradizioni, favole da raccontare la sera quando si è predisposti alla fantasia e al sogno.
Di notte il buio trasforma la realtà: la arricchisce di ombre che potrebbero essere qualsiasi cosa, il vento diventa messaggero del mondo dei morti, la pioggia nasconde magie perdute, i sogni prendono vita e si trasformano in realtà. Entriamo nel Realismo Magico e andiamo a caccia di misteri.
Si racconta che sotto la Villa Comunale ci sia un lago d’acqua salata, con tanto di pesci e di alghe, collegato al mare con dei cunicoli che sboccano direttamente nel cuore dello Stretto.
E che in questo lago siano immerse statue e resti di templi dell’epoca greca. Basterebbe trivellare qualche centinaio di metri per impossessarsi di un tesoro artistico.
Il Castello Aragonese, come tutti i castelli che si rispettino, aveva i suoi passaggi segreti e le sue gallerie sotterranee: una conduce direttamente in Via Marina, all’altezza di quella che era Porta Dogana, dove stazionava sempre una piccola nave pronta a condurre in salvo i podestà; un altro si collega direttamente con la collina di Pentimele, e arriva nel primo dei due fortini edificati sopra i resti di antichissime fortezze. C’è anche chi si vanta di averlo percorso. Naturalmente c’è anche chi ci crede.
Ci sono tre o quattro case stregate: fantasmi che appaiono col loro bagaglio di catene, di rumori sinistri, di luci fioche. Una è una villa, e nel giardino si aggira lo spettro di una damigella, naturalmente vestita di bianco, che geme le sue pene d’amore.
C’è il famoso pastificio che ospita Satana, e c’è anche chi giura di averne ascoltato la voce: più probabile si trattasse di un pezzo neomelodico, infernale più del malcapitato diavolo.
La tradizione racconta che, durante temporali furiosi e naturalmente di notte, uno strano corteo di incappucciati passi per le vie più buie biascicando litanie; niente paura, non sono massoni, i cappucci sono bianchi, i loro simboli cristiani: sono dei penitenti in processione, detti “Babbaluci”.
Lo scalpiccio della loro marcia e la loro lamentosa preghiera svaniscono pochi istanti dopo averli visti. Le vecchie nonne ne sanno qualcosa. Lo ripetevano spesso ai nipoti: fai u bravu o ti pigghiunu i babbaluci.
Punta Calamizzi (l’antica Pallantion), sprofondata nello Stretto il 20 ottobre 1562, nasconde tra i resti di case, chiese e monasteri, oltre che tesori preziosissimi, anche una intera famiglia di vegliarde aragoste giganti, grandi quanto barche di legno.
Più di un pescatore, nelle notti d’Estate, li osservò, con quelle chele smisurate, illuminate dalla luce delle lampare, muoversi lentamente nel fondale. Inoltre, quando il mare è assai agitato si può sentire il rintocco di una campana, sommersa con tutto il campanile, che suona per mettere sull’avviso chi è a mare.
Nello Stretto alcuni sostengono di aver incontrato animali sconosciuti: gli Eulippi (mansueti o iracondi), creature metà pesce e metà ruote d’auto, e soprattutto il temibile “Babbu i l’ova”, un mostro capace di mutare forma che si nutre di esseri umani, la cui presenza si avverte solo per la schifosa puzza che emana.
Lo spirito della tormentata Giulia, la figlia di Augusto, aleggiava dalle parti della via omonima, dove prima sorgeva una torre che per secoli si ritenne la sua ultima prigione. Da quando però si è ipotizzato che la torre era di epoca Bizantina, la povera Giulia non è comparsa più.
Il sottopasso di Calamizzi dava inoltre ospitalità al Folletto (u Fuddittu), una carogna di gnomo imprendibile che giocava brutti scherzi a chi l’attraversava; prendendogli il cappello si aveva diritto ai tre famosi desideri, anche se nessuno mai ci è riuscito.
Ma u Fuddittu è stato visto anche in altri sottopassi: a Santa Caterina, a San Leo, a Catona: forse ogni tanto va in trasferta.
Dalle stesse parti lo spirito di un tedesco, fucilato durante la Seconda guerra mondiale, terrorizzava chiunque passasse. Si racconta che i fucilati furono tre, ma solo uno subì la triste sorte di vagare per sempre tra i vivi. Il perché è un mistero.
Ma Reggio è una città piena di misteri. Misteri che riguardano i morti e le epoche passate, e misteri che riguardano i vivi, che sono d’ancora più difficile comprensione.
È un privilegio abitarci, ricordando sempre che mostri, spettri, aragoste giganti e laghetti sotterranei non fanno del male.
Sono i misteri dei vivi a nuocere.
Nell’uno e nell’altro caso indagini e approfondimenti sono necessari.
Tutto, come al solito, molto ma molto toco.