C’eravamo tanto amati: i Caffè e i Bar reggini
Luoghi di incontri e di scontri, tra fazioni politiche e classi sociali, gli antichi caffè e i bar a Reggio erano una vera istituzione, oggi viva purtroppo solo nei ricordi
Reggio, sempre beatamente distesa sullo Stretto come una Olympia di Manet con i reumatismi e le vene varicose, è abitata sin dal principio dei secoli da gente che, oltre al gusto della polemica, alla lussuria accidiosa dell’ozio e allo smaccato individualismo di portata metafisica, possiede anche la passione tutta italica di dividersi in fazioni animose che si odiano, poi si vogliono bene, si scambiano gli attori, si prendono e si lasciano in una quadriglia esagerata destinata a non avere mai fine.
Un balletto da Guelfi e Ghibellini che, sparito il tempo delle sciabolate e dei duelli, si esprime da qualche centinaio d’anni oltre che sui banchi della politica, anche con le formidabili armi delle industriose e placide società occidentali: i giornali ed i caffè.
Dei primi racconterò in un prossimo articolo. Sui secondi premetto che caratteristica del reggino tipico è la propensione a far truppa, al raduno a volte pettegolo e più spesso spassoso e sfottente, addolcito da dolci e gelati e liquori, come se ne possono trovare nei caffè.
La tradizione del bar è antica: ma se in quelli, numerosi, di periferia, si formavano assembramenti legati dall’appartenenza al quartiere o alla parrocchia, gli altri in centro, soprattutto i più antichi, erano segnati per la comune fede politica degli avventori, o per la classe sociale.
Sin dai tempi dei “Tripepini” e dei “Camagnini” il corso Garibaldi era il luogo principe dello “struscio”, la passeggiata di corteggiatori e corteggiate con madri al seguito, e della “spaparanzata”, l’esibizione di ricchezza tradotta in abiti e scarpe di buona fattura dei quali la stragrande maggioranza dei reggini mancava; le carrozze dei notabili attendevano i padroni col vetturino a sgranocchiare le carrube dividendole col cavallo.
Il più famoso dei locali, il primo in ordine di tempo, sorgeva di fronte Piazza Italia: Caffè Spinelli, dal nome del proprietario, ed era frequentato da tutta la buona società reggina, in cilindro e redingote; tra il suo lusso emergeva la figura di un Brummel nostrano, l’onorevole Vincenzo Cappelleri, elegante come un lord con tanto di levriero al guinzaglio; ma erano baroni e marchesi quelli seduti ai suoi tavoli marmorei, i Nesci, i Sarlo, il conte Genoese di Geria, innamorato della lirica insieme alle alte personalità dell’epoca, i De Blasio, i Cartella, i Canale, oltre naturalmente ai fratelli Tripepi, capipopolo e politici di spicco.
Ma proprio all’angolo di quella stessa piazza sorgeva, minaccioso e scuro, il locale detto “La Birreria”, vero centro insurrezionale di teste calde e poeti, frequentato da grandi intellettuali dell’epoca, fondatori clandestini del partito socialista reggino celato dietro una cooperativa (Vittoria); tra di loro Matteo Paviglianiti grande poeta reggino sodale di Nicola Giunta, De Maria, Crea, e Bruno Surace, il presidente. I due luoghi così vicini spesso furono causa di scintille e di irose ingiurie, ed altrettanto di beffe e di sbronze, sia nobili che plebee.
Vicino Piazza Duomo sorgeva il “Caffè Cassano”, noto per gli avventori di fede “Camagnina”, naturalmente moderati e infatti frequentato da una moltitudine di gente; al primo piano di palazzo Vitrioli era invece ubicato l’elegante “Caffè Europa”, centro d’intellettuali e ricchi borghesi di illuminate tendenze liberali. Sempre dalle parti di Piazza Italia c’era invece il Caffè Garibaldi, con il ritratto dell’eroe che giganteggiava su una parete, di proprietà di una tale milanese, d’impronta risorgimentale e anticlericale.
Dopo l’immane tragedia del terremoto, con la città che faticosamente si ricostruiva, sempre sul Corso Garibaldi tra le traverse di Via Osanna e Via Fata Morgana sorse l’ultimo dei grandi caffè reggini: La Bouvette Italia, che portò una ventata di novità e può essere definito il primo moderno Bar reggino: i tavolini sistemati fuori, così da poter scrutare al meglio lo struscio incessante, il bancone alla moda che rendeva non necessaria la sosta seduti, la presenza di numerosa gioventù, le dame eleganti, i giornalisti che lo frequentavano a frotte, lo rese in poco tempo locale alla moda con grandi assembramenti e code, come spesso avviene nella città.
Il Bar Spinelli cambiò proprietario, e si spostò vicino Piazza De Nava restando a lungo uno dei più eleganti locali cittadini; nel dopoguerra anche la Via Marina ebbe i suoi luoghi d’incontro, il sempre celebre Cesare, tuttora rinomata gelateria, e il Bar Luca, con centinaia di tavolini sistemati lungo le aiuole alberate frequentato da personaggi famosi che sciamavano dagli alberghi vicini: cantanti di ogni età ne celebravano le granite e ad ogni loro ritorno in città le gustavano golosi (Claudio Villa e Modugno i più famosi).
Negli anni ‘70 due locali segnarono, ancora una volta, le appartenenze politiche dei reggini: il Cordon Bleu, affollato dagli esponenti di destra, e il Bar Bolignano, a piazza Duomo, da quelli di sinistra. A volte volavano pugni e ingiurie, ma più numerose erano le granite e i gelati.
I locali reggini ormai non segnano più alcuna appartenenza; omologati nel mondo del consumo di massa, stritolati tra orrendi franchising, rivenditori americani di carne tritata insaporita chimicamente, panetterie da cani caldi e gelaterie industriali.
Una delle tante perdite e dei prezzi pagati alla società dell’opulenza, del degrado, e dello smarrimento di ogni gusto, da quello estetico a quello gastronomico.