C’eravamo tanto amati: Banana Republic

Il 5 Luglio 1979, il tour di “Banana Republic” a Reggio Calabria: un concerto indimenticabile del duo De Gregori-Dalla allo Stadio comunale

Gli anni ’70 erano all’ultimo giro e tra disastri collettivi e individuali, violenza, sogni, ingenuità, sotterfugi, tecnologia e gioventù ribelle avevano profondamente modificato l’Italia, che ne veniva fuori profondamente diversa rispetto a quella del decennio precedente.

La lotta politica aveva permeato nel decennio l’intero costume nazionale e la cultura in ogni sua forma. L’anticonformismo era diventato pratica comune, la rivolta individuale necessità, l’individualismo spiccava in pratiche collettive, l’impegno rivoluzionario gravitava attorno alle certezze borghesi. Le grandi illusioni, dopo l’ubriacatura dell’Autonomia del ’77 erano sfociate nelle nefaste imprese del piombo; la crisi del movimento, spezzato sia dal famoso provvedimento Calogero sia dalle diatribe interne, aveva prodotto un pulviscolo di organizzazioni, associazioni e partiti dalle sigle altisonanti e dai programmi inconcludenti.

L’esplosione della disco-music e delle discoteche aveva stemperato gli ardori giovanilistici (e piuttosto modaioli) dell’impegno a tutti i costi. L’estremismo aveva spezzato gli aspetti romantici, e forse anche più genuini, di un’intera generazione, che cercava conforto nel ballo, nell’alluvione dell’eroina, vera piaga di quegli anni, nella satira demenziale e feroce (impazzava “Il Male”, giornale d’avanguardia e si andavano affermando gli Skiantos, gruppo di culto).

I cantautori, veri simboli del cambiamento e cantastorie della realtà, avevano fatto i conti con la contestazione generalizzata, subendo le ingiurie e le offese dei duri e puri, e ne erano scaturite canzoni come L’Avvelenata di Guccini e Cantautore di Bennato o Vaudeville di Vecchioni.

I gusti della gioventù si stavano spostando in una direzione diversa, tornavano alla ribalta le parole “amore” e “divertimento”, bandite dal vocabolario di quella generazione. Le armi dei terroristi continuavano terribili il loro suono di morte, alle politiche del 20 Giugno il Partito Radicale aveva fatto un significativo exploit mentre era iniziato il declino del PCI; il Milan aveva vinto la stella dello scudetto, un giovanissimo Saronni il giro d’Italia, Panatta era nei quarti di finale di Wimbledon, che sarà poi vinto da Borg.

In quei giorni la città di Reggio, al solito provinciale e raggiunta soltanto dagli echi dei grandi cambiamenti in corso, vivacchiava con il suo solito carico di eterni problemi, preda di un’esplosione edilizia selvaggia che la stava modificando brutalmente nell’aspetto.

Sul Corso Garibaldi il passeggio era costante, con i due bar (Cordon Bleu e Bolignano) a marcare le appartenenze politiche e la Via Marina, molto diversa dall’attuale ma comunque bella, sempre invasa dagli accaniti parcheggiatori in doppia fila per via dei famosi gelati.

I pochi ragazzi provvisti di automobile, naturalmente dotata di stereo-mangiacassette, obiettivo principe dei ladruncoli di ogni risma, si aggiravano tra le vie cittadine in incessante caccia di donne e di avventura, con le prime ancora, tranne qualche eccezione, completamente sottomesse alle famiglie e alla morale terron-clericale che le rendeva rare e preziose. Dalle radio, la musica tradiva l’appartenenza e spesso anche il ceto; furoreggiava Alan Sorrenti, impazzavano i Bee Gees, Patrick Hernandez, il Carrozzone di Renato Zero era una colonna sonora costante, ma erano ancora e soprattutto i cantautori a tenere banco.

Nel grande calderone dei cantautori dell’epoca si trovavano, accomunati alla rinfusa sotto questa etichetta, artisti che avevano ben poco da spartire: si andava da Bennato, Guccini e De Andrè a Baglioni, Cocciante e Gianni Bella, Da Lolli a Rino Gaetano a Venditti a Fortis. Il rock (Rolling Stones, Deep Purple e Led Zeppelin) era ancora musica d’élite, mentre la disco-music riusciva comunque a coinvolgere tutti (tranne naturalmente i soliti “duri e puri”) e anche in città erano nate diverse discoteche, con Lo Scacco Matto e lo Splash-Down che il sabato sera erano stracolme.

In quel luglio 1979 stava facendo il boom di vendite l’album di Lucio Dalla che comprendeva alcuni grandi pezzi e il suo primo successo commerciale (dopo quelli sanremesi di quasi un decennio prima) cantato da vecchi e bambini: L’anno che verrà. Francesco De Gregori, dopo le strepitose vendite di Rimmel era stato qualche anno prima pesantemente contestato al Palalido di Milano, da giovanotti furiosamente e ottusamente politicizzati, e il suo carattere ombroso aveva risentito pesantemente del clima, accentuandone la ritrosia a suonare in pubblico.

Nel 1978 i due si erano incontrati musicalmente, suonando insieme per la prima volta in concerto, contaminandosi, trasmettendosi energia e idee, ed era nato il tour, tra i più fortunati nella storia della musica italiana.

Banana Republic si svolse interamente negli stadi. Preceduto da un singolo di successo dei due (Ma come fanno i marinai) e accolto ovunque da un tripudio di gioventù entusiasta, il tour rivoluzionò il modo di fare musica dal vivo e di proporsi dell’intero panorama italiano. La loro collaborazione, unitamente a quella altrettanto grandiosa tra De Andrè e la Premiata Forneria Marconi dello stesso anno, segnò un’epoca e diede inizio alla fase dei concerti negli stadi, fino ad allora riserva esclusiva degli artisti internazionali.

Lo Stadio comunale di Reggio, quella sera dei primi di luglio, era gremito in ogni ordine di posti. Il palco era sistemato dando le spalle alla non ancora costruita curva nord, e non era consentito l’ingresso nel campo vero e proprio, anche se verso la fine migliaia di persone scavalcarono e affollarono spavaldamente il prato verde, regno dell’idolo locale Elvy Pianca, in un abbraccio collettivo tra artisti e spettatori grondante gioia.

L’aspetto musicale del concerto spiazzò i presenti, abituati al cantautore d’impegno che dava molto più spazio ai testi trascurando quasi la parte strumentale: invece in Banana Republic la musica la fece da padrona, e gli arrangiamenti originali e marcati dal ritmo furono accolti da boati di godimento.

Il concerto iniziò con una versione ridotta di Pablo, cantata subito in coro da tutti. Faceva un gran caldo, quella sera, e numerosi iniziarono a spogliarsi restando a petto nudo.  Il disco contiene purtroppo solo dieci canzoni, ma nel concerto ne furono eseguite più del doppio. Da Piazza Grande a Quattro Cani, da Stella di Mare a Niente da Capire, da Cosa Sarà, cantata insieme al giovane Ron, terzo protagonista del concerto, a Buffalo Bill ed Anna e Marco, la serata si arricchì progressivamente di grande musica e l’entusiasmo fu un crescendo continuo.

Le canzoni si susseguivano incessanti, le due batterie davano il tempo, la band di ottimi musicisti riempiva ogni spazio musicale, il filo diretto con il pubblico proseguì per tutta la sera, rivelando un inedito De Gregori, disponibile, spiritoso e coinvolto dallo stralunato e funambolico Dalla, all’apice della forma.

Indimenticabile la visione del pubblico dello Stadio comunale, illuminato dai fasci di luce dei proiettori, che canta in coro l’arrangiamento vocale di 4 marzo 1943, che balla al ritmo di Ma come fanno i Marinai, le mani levate verso il cielo e i sorrisi stampati in faccia.

Un momento unico, una serata indimenticabile, una gioia improponibile (nel 2011, i due hanno riproposto qualcosa di simile, esibendosi al Cilea: niente a che vedere con quell’autentica esplosione di vitalità che era stata l’originale).

La scomparsa di Lucio Dalla ha regalato alla storia quella serata da brividi musicali, un inizio luglio affacciato sullo Stretto, tra il tepore accogliente, la bella musica, le voci indimenticabili dei due grandi artisti, e la nostra gioventù, così bella e sognante, e altrettanto sfuggente. Ci sembrava la più bella musica del mondo e, in quel momento, probabilmente lo era. Laggiù nel paese dei tropici, cantavano i due, e noi eravamo con loro.

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