Bertè è tornato: la nuova avventura del commissario in “salsa reggina”

Il commissario con la coda più amato d'Italia è protagonista della nuova avventura "Aspettando Cosetta". Ne parliamo con la scrittrice Michela Martignoni

Il commissario più amato d’Italia, mezzo reggino e mezzo milanese, con la sua coda lunga e brizzolata e la taglia ormai “extralarge” è tornato con un’avventura nuova di zecca “Aspettando Cosetta”. A raccontarci di Gigi Bertè, protagonista dei gialli di Emilio Martini, dietro cui si nascondono le due sorelle scrittrice Elena e Michela Martignoni, è proprio quest’ultima. Noi di Cult l’abbiamo raggiunta telefonicamente per farci raccontare i retroscena dell’ultima fatica letteraria e delle origini del nostro Bertè che le due autrici hanno fatto nascere in una immaginaria Santa Priscilla, identificandola con Bagnara.

Chi è Gigi Bertè

Bertè è il protagonista di almeno sedici romanzi noir editi da Corbaccio della fortunata serie “Le indagini del commissario Bertè”, vicequestore aggiunto di Lungariva, inventata località della riviera ligure che corrisponde alla reale Santa Margherita. Il commissario con l’immancabile codino è nato dalla mente di Emilio Martini, pseudonimo scelto dalle due sorelle milanesi per raccontare le inchieste di un poliziotto autentico e reale, in salsa reggina. In realtà Bertè è un «mezzosangue», milanese ma con origini reggine “spedito” per via del suo carattere “burrascoso” nella cittadina ligure, solo apparentemente tranquilla. Fin dal suo arrivo, infatti, l’amena località rivierasca è teatro di diversi omicidi raccontati dalle Martignoni dagli esordi nel 2012, con “La regina del catrame” all’ultimo episodio, uscito proprio nei giorni scorsi “Aspettando Cosetta”.

“Aspettando Cosetta”

Giallo avvincente, come gli altri del resto, Aspettando Cosetta è un delitto del presente che affonda le sue radici in un passato lontano. A Lungariva, una sera di ottobre, Neri Guerrini, ottantenne imprenditore agricolo di San Quirico d’Orcia, viene ucciso nella sua villa con un tagliacarte. Uomo riservatissimo che Berté conosceva solo di vista, preferiva trascorrere il suo tempo scrutando il cielo stellato con il telescopio, leggendo e ascoltando musica. Un vicino di casa afferma che la sera dell’omicidio un’evanescente figura avvolta da un velo da sposa si trovava sulla terrazza in compagnia della vittima, ma l’uomo non è in grado di fornire altri particolari e la sua testimonianza appare poco credibile a causa della sua passione per ufo e magia. Tanto basta per instillare il “tarlo” nella mente di Bertè che si reca fino in Toscana, terra d’origine della vittima per conoscerne meglio la personalità. Lì, guidato da un ex maresciallo dei carabinieri, conosce i pochi parenti dell’uomo e la sua storia. Una storia segnata da un trauma di gioventù che ne aveva condizionato l’esistenza. Le complessità si accavallano ma Bertè le dipana una per una arrivando come sempre alla risoluzione del caso.

Il fumetto

Per la prima volta le sorelle si cimentano anche con un finale a sorpresa: Bertè a fumetti. Alla fine del racconto una sorpresa per i lettori, con un piccolo racconto giallo a fumetti “Aspettando i Glem” tutto da scoprire.

Michela come nasce questo poliziotto sui generis?

«Io e Elena eravamo alla ricerca di un protagonista che legasse i racconti noir che avevamo scritto. E io un giorno lo vidi in un commissariato di zona dove mi ero recata per sporgere denuncia per uno scippo. Coda di capelli brizzolata quasi fino alle ginocchia, con questi occhi pazzeschi, un po’ sporgenti, neri, un pirata. “Che tipo” pensai e dissi ad Elena “abbiamo trovato il nostro personaggio”. Seppi dopo che era il commissario Luigi Negro, oggi in pensione, peraltro Gigi come il nostro Bertè, una coincidenza pazzesca. Capì subito che era un uomo del Sud, evidente dai colori, dall’accento e lo immaginai subito calabrese. Scoprimmo poi che era pugliese, ma per noi Gigi Bertè era e rimaneva calabrese e Santa Priscilla in Calabria».

Santa Priscilla come Bagnara

«Piccola postilla: né io né mia sorella siamo mai state in Calabria, ce ne siamo fatte un immaginario fiabesco e decidemmo fin dall’inizio che il nostro commissario doveva essere un uomo di mare, che provenisse da questo luogo di mare, questa Santa Priscilla in Calabria di cui è originario il padre, anch’egli irreprensibile poliziotto, la nonna Peppa, calabrese di sani principi, profondamente religiosa, etica, perché l’intento era di creare un personaggio positivo che finalmente ridesse un po’ di fiducia nella figura istituzionale del commissario, negli uomini di legge “giusti”. Nel nostro immaginario Santa Priscilla dove essere un paese di mare forte dove appunto questa nonna era cresciuta, il nonno lo portava a pescare con questo barchino che si chiamava Peppa come la moglie e ascoltava le romanze che il nonno gli cantava in mezzo a questo mare incantato. Un po’ come Bagnara, quindi, da dove origina la Bertè che porta lo stesso cognome».

Bertè, un tributo a Loredana e alla Calabria

«Anche il cognome infatti è stato scelto pensando a Loredana Bertè. Sia io che Elena abbiamo cercato un cognome calabrese, facile da ricordare e abbiamo pensato subito a lei, perché è una persona che a me è sempre piaciuta, quindi il suo cognome era perfetto. In uno degli ultimi romanzi, poi c’è l’ispettore Romeo, cui abbiamo scelto di dare cognome e origini calabresi. Un personaggio che è piaciuto molto, perché rappresenta il bravo poliziotto, un buono, di sani principi, proprio come Parodi, l’aiutante di Bertè in Liguria, entrambi rappresentano quella parte di forze dell’ordine che merita di essere osannata».

E poi c’è “la Marzia”…

«Sì, tra i personaggi da cui è circondato Bertè c’è la Marzia, la sua compagna, che peraltro esiste davvero. Un volto dolcissimo, di taglia abbondante che però le sta benissimo perché fa parte di quelle donne che riescono ad essere bellissime aldilà della forma e lui si è innamorato di questo. Abbandonando le sue convinzioni sulla magrezza, il fisico perfetto, abbandonando in sostanza la parte milanese. Perché in lui c’è sempre questo dualismo che gli viene dalla mamma lombarda e dal padre calabrese e soprattutto dalla presenza della nonna, la sua coscienza».

La coscienza “bastarda” è calabrese!

«Eh sì. Nessuno l’ha mai colto ma la voce della “coscienza bastarda” che lo frena, continuando a sottolineargli ogni cosa sbagliata è quella della nonna. Gigi Bertè, infatti, è cresciuto in Calabria, dove passava praticamente tutte le estati con il nonno e la nonna. Lui voleva bene a questa donna, aveva un legame profondo, ma lei non gliene perdonava una e gli aveva insegnato, sin da piccolo, a farsi l’esame di coscienza prima di dormire. Così anche da adulto, questa coscienza lo avverte, lo salva dagli errori o lo rimprovera se li ha commessi, proprio come la nonna calabrese, rigida ma vicina e accogliente».

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