Ascanio Celestini: a tu per tu con il “narratore di storie”

Una bella chiacchierata con il narratore di storie per eccellenza, prima del suo spettacolo di domenica 1 settembre al Catona Sport Village, “Le Nozze di Antigone”

foto di ©Pasqualini/MUSA

Ascanio Celestini non ha bisogno di presentazioni. Narratore di storie per eccellenza, col suo modo unico di raccontarle. Affabulando, divertendo, facendo riflettere, con quel romanesco che non guasta. Pasoliniano doc, “cercatore degli ultimi”, non dell’operaio che non arriva a fine mese, insomma, “ma di quello che il mese neanche lo inizia”. Premio UBU per la sua ricerca della storia dentro le storie. Oltre al teatro al suo attivo ha il cinema (La pecora nera, Mio fratello è figlio unico, per intenderci), la letteratura, la musica e anche le streghe (le prime storie che ascoltava dalla nonna da bambino). Con lui noi di CULT abbiamo fatto una piacevole chiacchierata prima dello spettacolo che porterà in scena domenica 1° settembre al Catona Sport Village, nell’ambito della prima edizione dell’OltreMare Fest con le musiche di Gianluca Casadei.

È il suo primo spettacolo teatrale a Reggio, anche se c’è stato per girare un film e si aspetta un pubblico attento e determinato, perché difficilmente “si va a teatro come alternativa all’aperitivo”. E la sua riscrittura de Le nozze di Antigone, senza dubbio rapirà tutti.

Ascanio Celestini, cos’è per te il teatro?

“Io ho cominciato a fare teatro quando studiavo antropologia e facevo ricerca sul campo. Raccoglievo storie e la sensazione che avevo era che queste storie che andavo a raccogliere in contesti dove c’era una grande vitalità, queste storie decontestualizzate quindi portate via da quel contesto morivano. Era un po’ come studiare il corpo umano sui cadaveri, era molto bello come studio, però, poi a me la cosa che piaceva di più, più che la storia era il contesto. Per cui il teatro per me è stato, è il luogo nel quale le storie potevano ricominciare a prendere vita, ad essere ricontestualizzate. Questo è per me il teatro: un luogo dove i racconti sono vivi come nella realtà”.

Nei tuoi “affreschi” ci sono le periferie, gli immigrati, gli operai, il carcere, i manicomi, la guerra, gli “ultimi” diciamo così. Perché?

“Per tanti motivi, il primo è che di molti sappiamo tutto. Raccontare del calcio, della politica, certe storie, certi personaggi, di una certa tipologia di esseri umani già è tutto raccontato e quindi non vale la pena aggiungere altro. L’artista ha questo compito e anche questa grande opportunità di fare luce dove luce non c’è. E poi perché l’artista racconta l’essere umano e l’essere umano quando vive in una condizione di disagio è più visibile. Perché un campione di calcio mostra al mondo quello che vuole, un detenuto in una cella non ce la fa a mostrarsi come vorrebbe, si mostra per quello che è. Per cui a me il detenuto interessa più del campione di calcio o del presidente del Consiglio, insomma”.

Parliamo di Pasolini. Lo omaggi sin dall’inizio, con Cicoria, Radio Clandestina, Museo Pasolini. Cosa ti lega a lui? Ho letto da qualche parte che quello che ti affascina di più è il suo interesse per l’alterità piuttosto che per l’identità…

“Sì nel senso che si è sempre, nonostante la sua vita personale sia presente in tutto quello che ha prodotto, c’è sempre un’attenzione per l’altro, continua.

C’è una cosa poi che lui scrive da subito, già negli anni ’40 e che ripeterà fino alla morte, cioè che l’intellettuale è borghese, è inevitabilmente borghese perché è andato a scuola, sa leggere e scrivere, conosce la musica, insomma ha una formazione sicuramente borghese.

Però proprio per questo ha l’opportunità di tradire l’appartenenza alla sua classe sociale, e questo lui lo ripete anche agli studenti nel ’68. Io penso che questo sia ancora più valido oggi. Noi dobbiamo tradire l’appartenenza, noi dobbiamo tradire il nostro legame col potere. Non soltanto stare dalla parte degli ultimi ma cercarli proprio. I penultimi e i terzultimi non vanno bene, bisogna cercare proprio gli ultimi, bisogna capire le ragioni degli ultimi. E se non riusciamo a trovarli ci dobbiamo mettere in viaggio per cercarli. Per cui, sì va bene l’operaio che fatica ad arrivare alla fine del mese, però noi dobbiamo cercare quello che non lo inizia nemmeno il mese. E in questo Pasolini ecco è sempre stato molto chiaro”.

Un esempio di vita, non erano solo parole le sue. Anche perché altrimenti l’intellettuale rimane fine a se stesso…

“Sennò diventa molto facilmente, un ruolo di comodo, diventa un po’ un manutentore del potere. E invece no, deve diventare, deve essere, come scriveva Gramsci insomma”.

Non “un commesso del gruppo dominante” quindi. Che poi è quello cui assistiamo oggi con gli opinionisti vari in tv.

“Infatti, e il rischio è di diventare il portavoce di un potere più simpatico, più buono, più discreto, meno violento ma sempre portavoce del potere”.

La tua è una carriera versatile, cosa ti rappresenta di più?

“Io racconto storie. Per cui per me raccontarle in un romanzo o in un film o in un teatro fa poca differenza. È una questione soprattutto tecnica ma non linguistica. Alla base c’è ascoltare storie e raccontare storie”.

Le nozze di Antigone, invece, che porterai domani a Reggio Calabria, cosa rappresentano per te?

“Ho scritto Le nozze di Antigone 25 anni fa, inizialmente per un’attrice che sia chiama Veronica Cruciani che adesso è soprattutto regista in teatro. Anche in questo testo che pure ha il personaggio che racconta la storia, che è Antigone, e questa storia la racconta a suo padre, quindi a Edipo, anche in questo caso come dicevi anche tu io ci metto dentro le mie storie. Anzi in particolare in questa c’è proprio una tra le prime storie che ho sentito da bambino, cioè le storie di mia nonna che raccontava storie di streghe. Le nozze di Antigone, quindi, potrebbe essere tranquillamente una variante di Radio Clandestina o di Rumba che è il mio ultimo spettacolo.

Ti sei autodefinito restauratore di storie, sottolineando l’affinità con il mestiere di tuo padre, restauratore di mobili. Nella tua biografia scrivi anche che tua nonna e la sorella Fenisia, raccontavano di streghe. Cosa ci dobbiamo aspettare? Un’altra affinità?

“No, un’affinità no (ndr, risate). Proprio ne Le nozze di Antigone c’è un racconto che faceva mia nonna che era la sorella più piccola di questa zia Fenisia e che aveva come ruolo nella famiglia quello di raccontare le storie, anche quelle di sua sorella più grande. Io più o meno faccio la stessa cosa, con la differenza che mia nonna le storie di streghe le raccontava all’interno di un contesto domestico. Non sarebbe salita su un palco. Io invece lo faccio in maniera professionale. Come quelli che ci hanno lo zio che aggiusta tutto lo chiami, quando te se rompe la macchina ma poi non fa il meccanico, e poi c’è quello che fa il meccanico nella vita per cui le macchine le ripara tutte, non solamente quelle dei parenti. Ecco, la differenza tra me e mia nonna è questa, lei raccontava in una dimensione domestica, io racconto storie lì dove vengo chiamato.

Anche di streghe, quindi?

“In questo caso, nelle nozze di Antigone sì”.

Guarda il video di Ascanio Celestini che racconta Le Nozze di Antigone:

 

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