A SpazioTeatro “L’immaginifica storia di Espérer” - CULT and Social

A SpazioTeatro “L’immaginifica storia di Espérer”

Archetipo dell'ignoto e di ciò che non si conosce e che fa paura, il popolo che arriva dalle acque compie, nella penna e nell'azione del drammaturgo, un vero miracolo

L’isola di Espérer esiste perché Espérer siamo noi. Toccare con mano storie che abbracciano la realtà drammatica e amara e cercare di dare un lumicino di speranza non è semplice. Ci riesce però “L’immaginifica storia di Espérer”, spettacolo del Teatro delle Forme, drammaturgia e regia di Antonio Damasco, sul palco insieme alla voce da delicata sirena di Laura Conti e alla chitarra di Maurizio Verna, in chiusura della stagione di Spazio Teatro.

Espérer, per continuare a sperare

È un punto di vista differente sulla gente che arriva dal mare, in ogni terra, in ogni tempo. Archetipo dell’ignoto e di ciò che non si conosce e che fa paura, il popolo che arriva dalle acque compie, nella penna e nell’azione del drammaturgo, un vero miracolo. Da esseri bistrattati, come i migranti arrivati disperati a Ventimiglia, queste persone diventano un’isola desiderata e da popolare, esempi di pace e serenità sociale. L’autore ricorda che non tanto tempo fa ad andare “a quel paese” erano gli italiani. Spinti su navi di misericordia a raggiungere le coste dell’America (divenuta parola stessa evocativa di salvezza e ricchezza) o con i treni in Germania o in Belgio.

Così l’immagine del treno affogato nella notte, che attraversa il Paese per arrivare alle destinazioni, si fonde con l’immagine del mare che inghiotte vittime inconsapevoli.

Ed è il ricordo delle morti del secolo scorso, 136 italiani («scheletri bruciati»), uccisi nelle miniere nel disastro di Marcinelle. Italiani, “brava gente” che a volte però sembra aver messo nell’oblio il passato recente di desiderio di uscire dalla miseria e trovare, altrove, risposte.

Una fiaba cantata con passione

La fiaba cantata allarga l’orizzonte e ribalta anche il concetto del “contagio” che «è una forma di comunicazione» ed è legato all’“altro”: anche il concepimento in fondo non è che un contagio che infetta di vita. Nella città dello Stretto approda una storia universale: Una storia di teatro nata dalla realtà, come racconta a fine spettacolo Damasco.

«Da fine aprile siamo partiti da Lampedusa – chiarisce l’autore – abbiamo fatto la Sicilia, con Palermo e Catania, oggi e domani Reggio e poi saremo a Catanzaro e, dopo una pausa, altri tre momenti del tour al Sud fino ad arrivare a Bardonecchia entro la fine dell’anno».

Un percorso che ricalca la tratta che i migranti fanno quando arrivano a Lampedusa. «Si chiama isola di Espérer, l’isola che esiste – ha aggiunto il drammaturgo – nel 2015, quando mi trovavo in Liguria arrivarono a Ventimiglia i primi ragazzi dal mare, era il 10 giugno. E una delle mie figlie piccole mi chiese perché stavano sugli scoglio. E non è che io avessi la risposta. Tuttavia, quella mattina, senza tanto pensarci, scrissi “L’immaginifica storia di Espérer” che è diventato un libro (illustrato da Alice Tortoroglio ) per i ragazzi di domani. E non è per giustificare la nostra completa inerzia per ciò che sta accadendo da anni. Siamo tutti colpevoli, ma vorrei che loro sapessero da che parte sta loro padre. Chicca finale: dopo lo spettacolo tutti potranno avere il loro certificato di esistenza sull’isola di Espérer.

SpazioTeatro chiude la stagione

«Chiudiamo questa stagione con grande soddisfazione – ha commentato il direttore artistico di Spazio Teatro Gaetano Tramontana – Sono state settimane di condivisione e scoperta, abbiamo viaggiato attraverso mondi immaginari, riscoperto personaggi indimenticabili e lasciato che le loro storie ci catturassero, ma l’emozione più grande è stata rivedere la nostra sala gremita e riabbracciare il pubblico che ci ha sempre sostenuto in questi anni. Ci saluteremo con un intenso ultimo appuntamento, una favola che trasforma il dolore e la lotta dei migranti in un’utopia, un’isola senza frontiere dove tutti e tutte sono invitati ad abitare: basta solamente possedere un “certificato di esistenza”».